(R.P.) Estremismi siciliani. C’è chi pensa che Totò Cuffaro debba stare in galera a prescindere. C’è chi scambia un ricorso per una riabilitazione. I primi hanno appreso con sgomento della nota mossa dello studio romano. Criticano Cuffaro per quello che è. Lo attaccano per la sua identità di politico clientelare. Ma mettono il piede in fallo quando invocano il carcere e le condanne non come frutto di un percorso processuale. Come incarnazione di un precetto morale. Si può sintetizzare: anche se Cuffaro non avesse commesso i fatti per cui è stato condannato, sarebbe opportuno gettare la chiave lo stesso. Perché? Perché si chiama Cuffaro. Si dimentica che, teoricamente, la legge punisce comportamenti illeciti. Non sanziona profili etici.
Comportamenti illeciti – e veniamo al secondo schieramento – che sono stati sanciti a lettere di fuoco dopo tre gradi di giudizio. Se ci sarà un percorso oggettivo in grado di porre in discussione prove e circostanze, lo vedremo. Al momento non c’è. Ci sono le ipotesi (rispettabilissime) di un avvocato e di un condannato che stanno combattendo la loro battaglia. Dall’altro lato, c’è una sentenza definitiva. Un po’ poco per gridare già allo scandalo. Un consiglio agli appassionati di storie giudiziarie. Ci sono mille casi di dubbia giustizia. Riguardano gli anonimi vinti delle prigioni, vessati da carcerazioni preventive, sentenze frettolose e avvocati ignavi. Non potreste appassionarvi anche dell’esistenza di costoro, per quanto coperti dal buio? Sarebbe un passo in avanti.