“Vista la condanna con l’aggravante dell’articolo 7”, l’aver favorito l’organizzazione Cosa nostra, “può assumere rilevanza”. Con questa motivazione il gup del tribunale di Palermo, Vittorio Anania, ha deciso di acquisire – agli atti del processo contro l’ex governatore Totò Cuffaro per concorso esterno – la sentenza di secondo grado contro il senatore dell’Udc nel cosiddetto processo delle talpe alla Dda. La richiesta, avanzata dai pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, non contrastata dalla difesa, riguardava anche 27 faldoni di tutte le intercettazioni che hanno riguardato le indagini su Cuffaro e le sentenza contro Mimmo Miceli e Antonio Borzacchelli. Tutti documenti che ora fanno parte del processo.
Livesicilia offre ai lettori un documento inedito: le motivazioni della sentenza d’appello che ha condannato Cuffaro a 8 anni in appello, aggiungendo l’aggravante rispetto al primo grado. Un documento che “può assumere rilevanza”.
Nelle oltre seicento pagine si legge che Giuseppe Guttadauro, capomafia di Brancaccio, “aveva fatto forti pressioni per convincere il Cuffaro, candidato alla Presidenza della Regione, ad inserire nelle liste del suo partito una persona di fiducia dell’associato mafioso e cioè l’avvocato dello stesso Salvatore Priola”. Un nome su cui non si sarebbe trovato l’accordo virando poi su Domenico Miceli, “soggetto che assumeva un ruolo chiave e cioè quello di candidato politico espressione dell’associazione mafiosa chiamato a rappresentarne gli interessi”. Perché nel salotto del capomafia “Guttadauro dinanzi allo stesso futuro candidato rappresenta la linea politica da seguire e reclama per lo stesso e per l’organizzazione l’acquisizione di incarichi di sottogoverno nell’ipotesi di una mancata elezione poi puntualmente assegnati al Miceli”. Lo stesso salotto in cui i due, Miceli e Guttadauro, smettono di parlare perché vengono a conoscenza di essere intercettati.
La sentenza dice che “con la trasmissione della notizia riguardante la sottoposizione ad intercettazione di entrambi (sia Miceli che Guttadauro) infatti Cuffaro divulgava un fatto assolutamente dirompente non soltanto per il Guttadauro ma per l’organizzazione stessa e riguardante il rapporto fiduciario venutosi a creare tra il candidato politico alle elezioni regionali e il rappresentante mafioso deputato dall’associazione ad intrattenere detti particolarissimi rapporti”.
L’aggravante. Per i giudici di secondo grado, però, Cuffaro ha agito “con dolo diretto”. In primo luogo per la qualifica della persona agevolata, Guttadauro, ma anche per “l’oggettiva funzionalità” delle notizie passate da Cuffaro. Per cui i giudici concludono che il senatore dell’Udc ha “consapevolmente prestato aiuto all’organizzazione mafiosa poiché la condotta veniva posta in essere a vantaggio di un membro dell’organizzazione che in quel preciso momento storico era colui che aveva instaurato un rapporto con esponenti politici di livello regionale e quindi aveva assunto un ruolo particolarissimo e decisivo all’interno dell’associazione conosciuto anche all’imputato, sostanzialmente del tutto paragonabile a quello di un rappresentante di vertice se non addirittura superiore quanto a rappresentatività criminale”.