Cuori d'oro - Live Sicilia

Cuori d’oro

Una volta almeno i ricordi erano sacri. Costituivano il tesoro più prezioso di una persona, di una famiglia. Ma la crisi ha divorato tutto.

E così anche lei, Barbara D’Urso, la compagna del pomeriggio televisivo di tanti pensionati, la titolare delle mille “faccine” di circostanza levigate da misericordiosi filtri antirughe, s’è convertita alla moda del momento: anche lei è diventata testimonial di una catena di negozi di “compro oro”. Di lei ricordavo in particolare una celebre intervista televisiva a Berlusconi in cui riusciva nell’impresa titanica di recitare contemporaneamente il ruolo di padrone di casa e di inquilino facendosi suggerire le domande dall’ingombrante intervistato.

Tuttavia, questa svolta della sacerdotessa della lacrima, dell’interprete somma dell’emozione nazional-popolare all’ora del the, appare sorprendente nella sua ambivalenza. Avevo già visto il “nero bianco” Fausto Leali, quello di “A chi” e di “Angeli negri”, sporcare il suo nome con il geniale slogan «Più Leali di così». E poi ancora Renato Pozzetto, impegnato in scenette demenziali con il figlio sosia al posto di Cochi, in cui dichiara di “essersi sbarazzato di qualche cianfrusaglia d’oro” per andare in crociera o per acquistare l’ultimo modello di megaschermo. “Così quando sono a casa, anziché aprire il cassetto e guardare l’oro, guardo il televisore e mi diverto di più”. Per non parlare, infine, di alcune glorie del cabaret d’un tempo che imperversano sulle TV locali nelle vesti di novelli Re Mida, capaci di trasformare in oro tutto ciò che toccano. Con le mani o con altri, e più reconditi, distretti corporei.

Nell’attuale drammatica congiuntura economica, i negozi di “compro oro” sembrano l’unica attività commerciale capace di resistere alla crisi. Anzi, proprio nella crisi trovano sostentamento. Intendiamoci: il credito su pegno è vecchio quanto il mondo, ma almeno in quel caso resisteva la speranza del riscatto, l’illusione della rivincita. Ai giorni nostri, il bisogno sempre più diffuso di contante per arrivare a fine mese spinge sempre più persone a vendere, a prezzi non certamente convenienti: braccialetti, orecchini, anelli, orologi. Quei piccoli ricordi di famiglia, di valore commerciale spesso risibile e sempre inferiore a quello affettivo, tenuti spesso per anni nei rifugi più nascosti di ogni casa. “Cianfrusaglie”, per dirla alla Pozzetto, che ci parlano di una nonna che non c’è più. O di quel giorno felice in cui, con una veste bianca e un giglio in mano, ci recammo a mangiare il primo Pane e a bere il primo Vino. Ricordi di stagioni calde di una vita che è diventata per troppi un lungo inverno di freddo e privazioni. Corde lunghissime che ci legano ad un passato di serenità e che vengono recise con sofferenza. E non certo per andare in crociera o per comprarsi un nuovo televisore.

L’angoscia m’assale quando assisto a questi spot. Anche se, grazie a Dio, la penna d’oro che mi donò mio zio il giorno della laurea e che non ha mai tracciato neppure una sillaba è ancora lì. Nel cassetto in cui giace da più di trenta anni. Come una vecchia “cianfrusaglia” che parla al mio cuore e che tiro fuori di tanto in tanto per esser certo che esso è ancora in grado di ascoltare la sua voce.


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