PALERMO – Si è rimesso di nuovo nei guai da solo. Salvatore Candura, 55 anni, credeva di potersi fare beffa di nuovo dello Stato che lo ha smascherato per la seconda volta.
Era già accaduto quando si inventò di avere rubato la Fiat 126, poi consegnata a Vincenzo Scarantino e imbottita di tritolo per ammazzare il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta in via D’Amelio. Due decenni dopo un altro collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, raccontò un’altra verità passata al vaglio dei giudici. Scarantino e Candura si erano inventati tutto e furono così cacciati dal programma di protezione. Rientrato a Palermo, senza più la protezione i soldi dello Stato, Candura si è messo alla testa di una banda di truffatori.
Seguiva tutti i passaggi – dalle ferite inferte ai complici – alla riscossione degli indennizzi, passando per le viste mediche negli ospedali. Solo che, nel frattempo, ha commesso un nuovo errore. Aveva denunciato all’autorità giudiziaria di essere stato vittima di intimidazioni nella speranza, forse, di tornare a essere un protetto di Stato. Gli è andata malissimo perché è stato pedinato e intercettato dagli agenti della Direzione investigativa antimafia che non hanno trovato riscontro alcuno alla denuncia dell’ex pentito. Il pentito lo hanno intercettato mentre diceva ai suoi complici di “…di prendere delle bottiglie…” per sfregiare al volto una serie di donne e incassare l’indennizzo.
Gli investigatori scrivono che “una sorta di firma d’autore del duo Salvatore Candura-Maurizio Furitano è la realizzazione di profondi tagli al viso delle persone coinvolte, quasi sempre giovani donne, che richiedono l’apposizione di numerosi punti di sutura e che vengono successivamente considerati sfregi permanenti”. Ed ancora: “Si sono dimostrati persone estremamente pericolose e senza scrupoli, non hanno dimostrato alcuna pietà nei confronti dei soggetti cui procurano profondi tagli e fratture”. Ce n’era abbastanza per chiedere che venissero fermati al più presto, prima che ci scappasse il morto.