PALERMO – Quattrocento esuberi. Ovvero tagli. Gente che verrà accompagnata fuori dal mondo del lavoro. Unicredit riduce il personale nell’Isola. Questo prevede il nuovo piano industriale, illustrato dai sindacati. Nelle stesse ore, la Fondazione Sicilia decide di non partecipare alla mega-ricapitalizzazione dell’istuto di credito. E così, la quota che era già residuale (allo 0,08 per cento) si diluisce ancora. La Sicilia, insomma, gradualmente sparisce. E con essa quello che resta del “Banco” per antonomasia. Il Banco di Sicilia, appunto.
Storia di grandezza e decadenza
La storia del Banco ha origine a cavallo dell’Unità. Ma non è questo il luogo per ricostruire una storia lunga un secolo e mezzo. Di sicuro c’è che in questo lungo periodo, il Banco ha rappresentato per l’Isola simbolo di grandezza e poi, gradualmente, di una decadenza da periferia. Tra i presidenti, nella seconda metà dell’800, è rimasto nella storia Emanuele Notarbartolo che segnò un’era. Il nuovo secolo, tra le due guerre, fu invece marchiato dalle figure di Ignazio Mormino (poi nascerà una Fondazione a suo nome) e – dopo il secondo conflitto mondiale – Carlo Bazan. In quegli anni, il nuovo Statuto del Banco fu redatto da Salvatore Orlando Cascio, il padre dell’attuale sindaco di Palermo. Bazan verrà poi arrestato con accuse che si riveleranno infondate. Non si vedeva ancora, ma era, in un certo senso, l’inizio della fine.
La seconda metà del secolo vede una svolta “moderna” del Banco di Sicilia, affidato dapprima al bolognese Francesco Bignardi. Nei primi anni ’90 però inizia la vera crisi. Il Banco diventa una società per azioni e il capitale passa nella fresca Fondazione Banco di Sicilia (quella che oggi è la ‘Fondazione Sicilia’), mentre alla fine del 1998 il Banco è “costretto”, di fatto, ad assorbire l’ex Sicilcassa, nel frattempo fallita.
Privatizzazione e vendita degli immobili
Sempre alla fine del secolo, poi, ecco due eventi che cambieranno il volto del Banco, accelerando la fine. Da un lato, la già citata privatizzazione, che fa rientrare l’Istituto dentro la galassia di Mediocredito. Dall’altro, la vendita del lussuoso patrimonio immobiliare.
Per farla breve, intorno al 1998 il Banco decide che deve limitarsi all’attività relativa al credito. Decide di vendere quindi i prestigiosi «cinque stelle» dell’Isola: il San Domenico di Taormina, l’Excelsior, il Villa Igiea e il Grand Hotel Des Palmes di Palermo, l’Excelsior di Catania. L’operazione economica venne conclusa nel settembre del ’98 attraverso Sgas e Itac, le società controllate dal Banco di Sicilia che gestivano l’impero alberghiero: 250 dipendenti e un fatturato di circa 36 miliardi. Ad acquistare gli hotel è la società Acqua marcia di Francesco Bellavista Caltagirone La vicenda finirà anche in una indagine della Procura di Palermo, allora guidata da Piero Grasso. A indagare, l’attuale procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone: i dubbi erano legati al prezzo di vendita (circa 100 miliardi di lire) e alla scarsa trasparenza dell’operazione. Come è finita? Il patrimonio è rimasto nelle mani di Acqua marcia, fino ai guai che hanno portato l’azienda oggi in concordato preventivo. Quei gioielli, quindi, sono stati messi all’asta per coprire i debiti. Il valore è stato fissato in 241 milioni. Uno degli hotel è già stato venduto: il San Domenico di Taormina è andato al gruppo Statuto e presto potrebbe finire sotto il controllo di un fondo di investimenti inglese assieme ad altri hotel di lusso come il Danieli di Venezia, il Four Seasons e il Mandarin Oriental di Milano.
La scomparsa del Banco in Unicredit
L’inzio della fine, dicevamo. Oggi, in giro per Palermo e per la Sicilia si possono trovare tanti sportelli “ibridi”. L’insegna del Banco di Sicilia convive con quella di Unicredit. Cosa è successo? Semplicemente, il Banco che fu dei siciliani, ha seguito la sorte di tanti altri istituti “del territorio”. Finendo presto dentro i processi di fusione messi in modo dai grossi istituti. Prima finirà dentro Mediocredito Centrale, come abbiamo detto. Questo verrà acquisito nel ’99 dalla Banca di Roma, che di lì a poco si sarebbe trasformata in Capitalia. Nel 2010, infine, la Fondazione del Banco di Sicilia viene incorporato in Unicredit. È la fine del Banco.
Già inizialmente, la quota all’interno del gigante del credito era residuale. Ma lo diventerà ancora di più col passare degli anni. La Fondazione, infatti, partecipa a due aumenti di capitale miliardari nel 2008 e nel 2009. Ma nel 2011 rinuncia, vedendo già diluire la propria quota. Una scena replicata poche settimane fa, quando il nuovo presidente dela Fondazione, Raffaele Bonsignore ha annunciato di non volere aderire alla mega-ricapitalizzazione da 13 miliardi voluta dal numero uno del gruppo, Jean Pierre Mustier. E così, la “Sicilia” dentro Unicredit è un puntino sempre più piccolo.
La Fondazione guarda altrove
Visto gradualmente sparire ciò che resta del Banco, la Fondazione guarda altrove. Ad esempio entrando nella nuova Banca Igea, creatura nata dalla volontà dell’ex manager di Banca Nuova Francesco Maiolini. Ma non solo. La Fondazione è anche entrata nella Popolare di Vicenza (di cui Banca Nuova è una controllata), entrata in crisi dopo il caso-Zonin e adesso in mano al Fondo Atlante. Ma non solo. La Fondazione è entrata anche nella proprietà di “Banca Sistema”, acquistando quasi 6 milioni di azioni pari a oltre il 7 per cento. E il “ponte” tra le due realtà è rappresentato dalla figura di Gianni Puglisi. Per anni presidente della Fondazione banco di Sicilia oggi ricopre il ruolo di presidente onorario. Nel frattempo, però, Puglisi, tra gli innumerevoli incarichi, è anche nel consiglio di amministrazione di Banca Sistema, dove recentemente è stato anche indicato come vicepresidente. Tre le azioni più recenti dell’Istituto che rigurdano il Sud, l’acquisto o l’acquisizione per 57,2 milioni di euro dell’intero capitale sociale di Beta Stepstone, società attiva in servizi di factoring dedicati agli operatori sanitari soprattutto nel Centro e Sud Italia. Le attività di “factoring” sono quelle riguardanti la cessione, da parte di imprese a una società specializzata, dei propri crediti che verranno gestiti, appunto, dalla società stessa. Un affare potenzialmente milionario.
La Fondazione Sicilia, insomma, guarda avanti e guarda oltre. Mentre ciò che resta in Unicredit è sempre – in proporzione – più piccolo. Così come potrebbe restringersi presto la “macchia” delle filiali che portano ancora l’insegna del Banco (insieme a quella di Unicredit), in giro per l’Isola. Pronti 400 esuberi. E presto la chiusura potrebbe riguardare proprio le filiali del capoluogo. A Palermo. Lì dove c’era una volta il Banco di Sicilia.