Certe volte, ho paura, a Palermo. Mi prendo la responsabilità di scriverlo in prima persona. Su argomenti così impegnativi non si possono millantare maggioranze più o meno silenziose. Ma ho il fondato sospetto di non essere il solo ad avere paura. Segue catalogo minimo.
Ho paura a Palermo, quando scriviamo, e poi rileggiamo, notizie di violenti che, in zona Libertà, in uno dei cosiddetti ‘quartieri salotto’, aggrediscono il prossimo a colpi di casco – sotto gli occhi attoniti di un tredicenne – per un litigio su una precedenza. Questa è l’ultima cronaca disponibile. Potrebbe accadere a tutti.
Ho paura a Palermo e delle sue ‘bande’ che circolano su mezzi di ventura, per cercare la rissa, per dare l’assalto a bravi ragazzi che si trovavano nella strada sbagliata, al momento sbagliato. Chi dei genitori non è in ansia?
Palermo mi fa paura, quando penso alla folla dei palermitani coraggiosi dello Zen, ostaggio di una minoranza delinquenziale che umilia il quartiere. Ne conosco tanti, ho diversi, carissimi, amici da quelle parti. E tutti mi raccontano quanto sia insopportabile essere associati ai peggiori, nello stigma della periferia senza riscatto.
E conservo il dolore negli occhi della pugnace titolare di un bar, dopo l’ennesima spaccata. E conosco famiglie intere che disertano il centro storico. Sì, per paura. E avverto, ovunque, la stessa stanchezza che provo io. (foto d’archivio)
Ha ragione il professore Roberto Lagalla, sindaco perbene di Palermo – che abbiamo intervistato – alle prese con un impegno gravoso: bisogna puntare su maggiori controlli e sulla rigenerazione urbana, sul senso della comunità. Una rete educativa rinforzata, a vasto raggio, avrà effetto, nel tempo, non essendo immaginabile che ci sia un esponente delle forze dell’ordine per ogni palermitano.
Nel frattempo, siamo qui, alle prese con una città che può fare paura agli onesti che la abitano. Ecco la sensazione che mi assedia. Forse, non sono il solo.
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