Micron, dal modulo M6| ai licenziamenti - Live Sicilia

Micron, dal modulo M6| ai licenziamenti

Nel giorno dello sciopero nazionale della vertenza Micron vi raccontiamo le tappe salienti di quella che si può definire la cronaca di una morte annunciata. LEGGI IL PROGRAMMA DELLE MANIFESTAZIONI DI OGGI A CATANIA

il tramonto dell'Etna Valley
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Catania. La parabola discendente del sito catanese e il progressivo abbandono del modulo M6. C’è un’immagine che, più di tutte, rimane impressa nella mente di chi ha assistito alle proteste dei lavoratori Micron: il lungo corteo che simbolicamente ripercorre la strada verso “la casa madre”, cioè la STMicroelectronics. Un percorso a ritroso che sottende l’origine dell’incubo che oggi il territorio catanese si trova a vivere. Una cronistoria degli eventi è utile in tal senso per rinfrescare la memoria dei più. Nel 2000 STM è una realtà in espansione. Il colosso nel settore dei semiconduttori a partecipazione statale (34% tra Francia ed Italia) decide di mettere in piedi un progetto ambizioso: il modulo M6, cioè uno stabilimento finalizzato alla produzione di fette di silicio a 12 pollici per memorie flash.

Il futuro sembra a portata di mano, a pochi passi dall’Etna. Il modulo M6 doveva essere un centro di eccellenza, un volano di sviluppo e occupazione, ma nel giro di qualche anno si materializza come una cattedrale nel deserto. Infatti, nonostante un lauto finanziamento pubblico (500 milioni di euro disponibili) a vedere la luce è soltanto la struttura dello stabilimento, ma i reparti produttivi rimangono vuoti. Così si allontana progressivamente il sogno di sviluppo nel settore delle memorie. Se nel 2000 l’azienda e le organizzazioni sindacali firmavano un protocollo d’intesa per la costruzione della fabbrica e si paventavano 1500 posti di lavoro, con il passare del tempo qualcosa è andato storto. Mentre i dipendenti erano impegnati fuori sede ad acquisire know-how sui FAB a 300 mm in vista del salto di qualità, nel 2005 avvengono una serie di eventi destinati a mutare il corso delle cose. In primo luogo un cambio al vertice di Stm che passa a Carlo Bozotti (manager dell’unico gruppo in perdita di STM: la divisione memorie). Alla fine di quell’anno l’azienda sospende le attività legate all’avvio del progetto M6 nel sito catanese, ricollocando i dipendenti assegnati al progetto. La motivazione è l’andamento sfavorevole del mercato.

Poi è tutto un susseguirsi di voci e dichiarazioni. Bozotti, nel gennaio del 2007 afferma: “Completeremo la struttura che rappresenta una grossa opportunità occupazionale per Catania”. Sono i giorni in cui si inizia a parlare di scorporo. Poi i rumors vengono confermati: il 22 Maggio STM annuncia la nascita di una joint venture insieme a due partners: Intel e il fondo di investimento Francisco Partners. L’operazione, così dicono i vertici aziendali, è tra le altre cose propedeutica alla “completa realizzazione del progetto M6” (come si legge nel protocollo d’intesa firmato il 6 luglio presso il Ministero dello sviluppo economico). Nasce Numonyx partecipata da STM per il 48%, Intel 45% e Francisco Partners al 6,3%. Alla nuova società, STM cede un ramo d’azienda: FMG (flash memories group). Nel maggio 2008 il Ministero decide di verificare i piani industriali di STM e Numonyx. La controllata dichiara che il progetto M6 non rientra nei suoi piani e rinuncia ai finanziamenti previsti. Nell’anno successivo le due aziende, nuovamente convocate dal Mise, presentano una richiesta di cassa integrazione, che nel caso della Numonyx riguarderà tutti i lavoratori (il cui numero nel frattempo è notevolmente diminuito a seguito di due cessioni di ramo d’azienda in favore di STM).

Numonyx è ormai un gioiellino pronto per essere venduto. Arriva il colosso a stelle e strisce Micron Thecnology e il gioco è fatto. L’azienda leader nel settore delle memorie acquista brevetti e dipendenti. Nel frattempo STM è impegnata in un’altra operazione direttamente collegata al sito M6. La società opziona il sito M6 in vista della creazione di una nuova joint venture (la 3 Sun) con Sharp ed Enel green power, per la realizzazione di un sito di produzione di pannelli fotovoltaici. Un’operazione fruttuosa quella della vendita dello stabilimento, tenuto conto che nel 2007 la STMicroelectronics lo aveva ceduto alla Numoniyx per un valore di 450 milioni di Euro riacquisendolo in seguito per una cifra di circa 70 milioni di Euro. Tre i punti salienti di questa operazione: il guadagno di STM in termini di plusvalenza, la cessione di quattrocento dipendenti a Micron e l’utilizzo del sito come catalizzatore di fondi pubblici. L’esito è il definitivo naufragio del progetto M6.

La storia dello stabilimento catanese di Micron, invece, è cronaca recente. A gennaio l’azienda leader nel settore delle memorie ha annunciato tagli sul personale del 40% negli stabilimenti italiani, che hanno riguardato 128 lavoratori (su 400) a Catania. Una decisione recentemente confermata presso il Ministero dello sviluppo economico. Eppure il colosso gode di ottima salute, tanto da chiudere il 2013 in bellezza con un +60%. Una crescita di cui hanno beneficiato gli stessi dipendenti che si sono visti recapitare “100 stock options”. Un regalo amaro, accompagnato da una lettera di licenziamento. I dipendenti che hanno un’età media di quarant’anni ed un livello di specializzazione altissimo, tanto da venire considerati eccellenze, potrebbero andare via alla volta di Paesi capaci di valorizzare il capitale umano, investire nella ricerca e nelle nuove tecnologie o che semplicemente hanno una visione industriale oculata. Insomma quello che sta accadendo fuori dai cancelli della Micron altro non è che la fotografia del Paese: una potenziale fuga di massa di cervelli ed un territorio depauperato e improduttivo. A tal proposito c’è da registrare la volontà, annunciata qualche mese addietro dal governo italiano, di cedere le quote azionarie di STM. Una decisione poi riveduta, ma che dimostra ancora una volta una certa miopia nel valutare le scelte strategiche di politica industriale, soprattutto a fronte delle risorse stanziate dall’Ue per il rilancio della microelettronica. Se coerentemente si volesse dar seguito al mantra “ce lo chiede l’Europa”, ben altra dovrebbe essere la direzione da seguire.


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