Una serie di mosse tanto scontate da apparire quasi obbligate nella loro prevedibilità dovuta alla scarsa fantasia dei giocatori. Non c’era alcun gusto nel prevederle e non c’è nessuna soddisfazione quando effettivamente si manifestano. “La gentaglia dà per scontato che Nino Di Matteo sarebbe sul punto di scendere in politica. Lo danno ‘vicino’ ai Cinque stelle… Staremo a vedere. Ma è già partita l’orchestrina della gentaglia”. Così nel febbraio scorso scriveva un giornalista palermitano, Saverio Lodato. Bene. Ora abbiamo visto e saremmo tentati di riporre gli strumenti musicali. Potremmo limitarci a fischiettare piano un paio di domande. Perché da questo processo tutti i pubblici accusatori vogliono sfilarsi dopo averne tratto il massimo di visibilità mediatica? Era così difficile capire che Di Matteo stava seguendo lo stesso copione di Ingroia?
Nel percorso c’erano tratti comuni, i libri, le interviste e le presentazioni-evento. Di Matteo ha aggiunto di suo le cittadinanze onorarie, l’ultima conferita da Virginia Raggi. Comune anche una tappa intermedia prima dell’approdo politico. Il fantasioso Ingroia addirittura il Guatemala, il grigio ma più pratico di Matteo la Direzione nazionale antimafia. Scontate le differenze caratteriali, la simmetria è evidente. Tanto da far pensare a uno sceneggiatore in comune che sa benissimo che il grande processo è inconsistente e prima o poi finirà nelle secche ma potrà continuare in una commissione parlamentare dove non ci saranno né prescrizioni né sentenze, ma puro spettacolo che non deve finire. Siamo al secondo tentativo. L’asticella si è abbassata, da Palazzo Chigi a un ministero. Staremo a vedere.