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Dall’Italia il primo computer | che riconosce il pensiero

E’ il primo computer capace di riconoscere i pensieri e potrebbe essere il primo passo verso sistemi intelligenti di comunicazione uomo-macchina.

TECNOLOGIA
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E’ il primo computer capace di riconoscere i pensieri e potrebbe essere il primo passo verso sistemi intelligenti di comunicazione uomo-macchina da utilizzare in primo luogo per la riabilitazione, ma che potrebbero avere molte altre possibili applicazioni. ”Solo 5 anni fa era fantascienza”, osserva il coordinatore della ricerca, Pietro Pietrini, a capo del gruppo di Medicina di laboratorio e Diagnostica molecolare dell’Azienda ospedaliera universitaria di Pisa. Primo autore della ricerca, pubblicata sulla rivista PlosOne, e’ Emiliano Ricciardi.

Il computer che distingue i pensieri si basa su un sistema capace di riconoscere con un’accuratezza di circa 90% ”l’alfabeto” che utilizzano le diverse aree del cervello ogni volta che vengono attivate. Collegato al cervello in modo non invasivo, il computer riconosce la differenza nell’attività del cervello di una persona sta assistendo ad un’azione (che, ad esempio, sente bussare alla porta) da quella di una persona che sta ascoltando un suono che fa parte dell’ambiente (come quello della pioggia). ”Nel momento in cui riusciamo a misurare il codice neurale del pensiero possiamo tradurlo in un codice per riuscire a compiere azioni con la sola forza del pensiero”, ha spiegato Pietrini.

Se finora per riuscire ad osservare le aree del cervello in attività era necessaria la risonanza magnetica, ora e’ possibile usare tecniche non invasive, basate sulla trasmissione di segnali elettrici. In futuro, quindi, si potrebbe immaginare una semplice cuffia collegata al computer. ”Abbiamo scoperto che esiste un codice neurale specifico per ogni azione” e in questo modo e’ stato possibile ”insegnare” al computer a ”capire” se una persona sta sentendo il suono della pioggia che cade oppure se sente bussare alla porta. Il codice neurale e’ lo stesso anche per le persone che non vedono dalla nascita. Il che significa che nel cervello e’ attivo un codice universale e astratto, identico per vedenti e non vedenti. ”Nel momento in cui riusciamo a misurare il codice neurale del pensiero possiamo tradurlo in un codice per riuscire a compiere azioni con la sola forza del pensiero”.

Per Ricciardi potrebbe essere il punto di partenza per ribaltare modelli riabilitazione dei bambini non vedenti, ma la stessa tecnica apre scenari completamente nuovi. Ad esempio, osserva Ricciardi, ”riuscire a scoprire che cosa una persona può pensare potrebbe sollevare problemi di tipo etico o forense”.

 

DA METEOWEB


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