CATANIA – Poche ore dopo la notizia che il film “Comandante”, diretto da Edoardo De Angelis, in cui Danilo Arena recitia accanto a Pierfrancesco Favino, aprirà l’80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove sarà anche ufficialmente in concorso, abbiamo incontrato in un noto albergo della città l’attore nato e cresciuto a Catania, ma da anni trapiantato a Roma, mosso dal desiderio di svolgere il suo lavoro ai massimi livelli. E così è stato.
Danilo, ormai da settimane, è rientrato a Catania per partecipare, interpretando uno dei ruoli principali, alle riprese di una nuova e già attesissima serie targata Mediaset. Va da sé che noi non abbiamo resistito al desiderio di andarlo a salutare, durante uno shooting del fotografo Natale De Fino.
Sei nato a Catania il 18 maggio del 1994. Com’era Danilo da bambino? – Quali sono i tuoi primi ricordi della tua città? Com’era Catania in quegli anni?
“Sì, sono nato e cresciuto a Catania. Danilo era ed è rimasto un ripetitore, un imitatore, un attore. Ricordo le feste in casa, le sedie spostate ai lati della casa, ricordo sincerità, purezza, verità, questo ricordo… Ricordo i miei genitori sempre giovani, mia madre anni piú piccola di mio padre. Ricordo i miei fratelli sempre adulti e ricordo mia sorella come una seconda madre”.
Oggi sei un attore affermato, ma ti definisci comunque un figlio d’arte. Sin da bambino infatti accompagnavi tuo padre nei piano bar, confrontandoti con i brani dei grandi cantautori italiani. Devi molto a tuo padre?
“Devo tanto, forse tutto a mio padre, a mia madre, ma come direbbero loro non devo loro nulla perché da sempre mi hanno trasmesso che l’amore non si dà per riceverlo, ma si dà perché chi è fatto di sogni è fatto così”.
A sette anni invece arriva il momento della danza e trascorri le tue giornate ballando come autodidatta per strada la break dance, con elementi acrobatici, per poi, spinto da tuo fratello Giovanni, specializzarti nelle danze caraibiche e folkloristiche, diventando, in coppia con tua sorella Denise, più volte campione italiano nella prima disciplina. Era l’inizio di uno studio del corpo che ti saresti ritrovato anche come attore? Che ricordi hai di quegli anni e di quelle esperienze?
“Non ho mai saputo dove mi avrebbe portato il mio cammino perché faccio quello che devo fare senza pensare. Oggi però ti dico sì, nelle mie interpretazioni il corpo è il mio strumento principale. Vivo e porto in scena questo controllo. Di quegli anni ricordo la costanza , mi allenavo dalle cinque alle otto ore al giorno, la voglia di raggiungere la perfezione e la voglia di vincere che in me da sempre vive”.
Con tuo fratello Graziano invece, sempre in quegli anni, inizi a frequentare gli eventi dedicati ai ruoli di gioco dal vivo. È lì che hai scoperto il fascino di interpretare qualcuno diverso da te? Cosa provavi a dare vita a dei personaggi che altrimenti non sarebbero mai esistiti?
“Sì, negli eventi di gioco di ruolo dal vivo lo stavo di sicuro scoprendo, ma nell’inconscio… Tutto fu più chiaro con il tempo e con gli anni. Fu nello specifico l’accusa dei miei genitori nel ripetermi di non avere né possedere personalità che mi fece capire di essere un attore. Avevo e mantengo tutt’ora un’aspirapolvere accesa mentre frequento o pratico le persone, le imito nei modi e nei ragionamenti facendoli miei. Ho sempre fatto cosí, per questo mi dicevano di non avere ne possedere personalità”.
Dopo gli anni di formazione, grazie anche ad una borsa di studio ricevuta dal College Arti e Mestieri dello Spettacolo di Catania, e le tue prime esperienze da “vero attore”, come la partecipazione alla fiction Rai “Che Dio ci aiuti 4”, diretta da Francesco Vicario, ed al film per la tv “Prima che la notte” di Daniele Vicari, sarà per te il tempo di lasciare Catania e trasferirti a Roma. La legenda narra che in tasca, in quei giorni, avevi solo 100 euro. È andata proprio così? Ti va di parlarcene?
“La leggenda è vera. Salii a Roma con cento euro, credo addirittura anche meno, avevo un biglietto di ritorno per un volo che non presi. Io tutto mi ricordo, tutto… Ero stanco, ero sempre stanco e vedevo appannato… Adesso Roma è casa e a volte sono pure meno stanco…”.
Dopo tanta gavetta e tante soddisfazioni lontano da casa, oggi sei nuovamente qui a Catania per le riprese della fiction tratta dai libri della scrittrice modicana Cristina Cassar Scalia e targata Mediaset, dove dai vita a Lo Faro, uno dei personaggi protagonisti della storia, “Vanina Guarrasi”. Puoi raccontarci qualcosa in più sul tuo personaggio e soprattutto su come ti sei preparato per interpretarlo?
“Sono qui, a Catania, nella mia città ed è strano. È tutto molto strano, ma bello, troppo bello… Purtroppo per clausule di contratto non posso dire nulla. Personaggio preparato con cuore, anima, corpo, amore, ma soprattutto con passione, passione ai limiti dell’ossessione, perché io vivo per questo… Perché questo mestiere è tutta la mia vita”.
Da attore che “ce l’ha fatta”, quali pensieri ti attraversano la testa e il cuore quando vedi i tuoi giovani colleghi che cercano ostinatamente di avvicinarsi ad un mondo così complesso e frastagliato? Che consigli si sentirebbe di dargli oggi Danilo, sulla base della sua per niente comune esperienza, professionale e soprattutto umana?
“Sono un attore , non ho nessun consiglio da dare. Non mi rivolgo agli attori. Il mio attorato, le mie parole, il mio cuore, i miei pensieri e i miei personaggi sono rivolti alle persone, alla gente che con i personaggi che interpreto ama, riflette, spera e sogna con me…”.
Durante il lockdown hai trascorso in solitudine ben 70 giorni e 70 notti, leggendo, pensando, e recidendo dei tuoi brani musicali, uno dei quali, “Cruciverba e caffè”, da te interamente composto ed interpretato, viene pubblicato poi nel mese di giugno del 2021, diventando così il tuo primo singolo. È stato un ritorno alle origini per te, come quando da bambino accompagnavi tuo padre nei piano bar?
“La musica mi permette di essere Danilo. I miei personaggi invece mi permettono di essere me stesso”.
Vittorio Gasman sosteneva che “Recitare non è molto diverso da una malattia mentale: un attore non fa altro che ripartire la propria persona con altre. È una specie di schizofrenia”. E così anche per te oggi? Cosa significa, alla fine dei giochi, per Danilo Arena essere un attore? Ha mai pensato Danilo di voler guarire da questa “dolce malattia”?
“Il maestro Gassman diceva bene, infatti io sono malato. Fioretta Mari una volta mi disse “sei fortunato perché sei un pazzo cosciente…”. Il mio essere attore è il costante bisogno di essere qualcun altro per essere me stesso. Malattia, se così vogliamo definirla, dalla quale non potrei né vorrei mai guarire…”.