PALERMO – “Ci spiace, ma anche se abbiamo sbagliato, per le pratiche valutate prima del 2011 non pagheremo un euro”. In soldoni è questa la risposta del Ministero della salute ad un “question time” dei deputati del Movimento 5 stelle, che sbatte la porta in faccia a tante famiglie danneggiate dai vaccini obbligatori e, soprattutto, alla giustizia.
La doccia fredda ministeriale, a firma del sottosegretario Paolo Fadda, è arrivata la scorsa settimana in seguito alla domanda avanzata dalla parlamentare palermitana alla Camera, Giulia Di Vita, che ha portato all’attenzione del Ministero le vicissitudini della famiglia P. di Terrasini, nel Palermitano, entrata nel tunnel della disperazione da quasi tredici anni a causa della somministrazione al loro piccolo dei vaccini obbligatori (Difterite-Tetano-Pertosse – Epatite B – Antipolio SABIN).
La famiglia P. invoca invano giustizia da anni e il giusto indennizzo previsto dalla legge 210/92 per i danni causati dalla somministrazione dei vaccini obbligatori. Era stato proprio il Ministero (tramite il braccio operativo della commissione medica ospedaliera dell’ospedale militare di zona) a certificare il rapporto causa-effetto tra le inoculazioni e il deficit cognitivo del bambino di Terrasini e a mettere apparentemente fine quantomeno al calvario burocratico e di ricerca della famiglia che, per quasi tredici anni, ha annaspato tra laboratori medici, uffici statali ed estenuanti navigazioni in rete alla ricerca di informazioni utili alla loro causa.
La stessa commissione medica che aveva imputato ai vaccini i problemi del bambino stoppava però la corsa della pratica verso l’indenizzo: mancava, infatti, il fondamentale requisito della tempestività, che prevedeva come termine massimo per la produzione della domanda di risarcimento il periodo di tre anni.
Tramite nuovo ricorso al Ministero della Salute, la famiglia P. riusciva ad aggirare anche questo ostacolo e a dimostrare che i tre anni non erano ancora trascorsi al momento della domanda, da quando si era avuta la chiara consapevolezza del nesso causa-effetto tra i vaccini e il deficit.
Un nuovo stop era però dietro l’angolo: il Ministero, riesaminando la pratica, si rimangiava il nesso di causalità e cancellava il rapporto causa effetto tra i vaccini e i problemi del bambino.
A questo punto, però, era lo stesso Ministero a chiedere un parere al Consiglio di Stato “per dirimere ogni dubbio circa la corretta procedura amministrativa”. Il parere arrivava nel 2011. Poche righe che davano praticamente ragione alla famiglia del Palermitano e ai tanti che si trovano nelle stesse condizioni: “la prassi ministeriale in sede di riforma dei provvedimenti emanati dalle Commissioni medico ospedaliere sarebbe non conforme a legge” dal momento che non è nei suoi poteri sindacare le decisioni della Commissione.
Da quel momento il silenzio, fino a questi giorni e al “question time” presentato da Giulia di Vita, “per capire quale azioni intendeva mettere in atto per riesaminare e rettificare la pratica dei P. e delle altre famiglie nelle stesse condizioni”.
Chiara, ma scioccante, la risposta, che asserisce che gli uffici a partire dal parere del 2011 “hanno modificato l’espletamento dei criteri di valutazione delle istanze, adeguando gli stessi alle nuove indicazioni del Consiglio di Stato. Decidendo nel contempo di non rivedere anche i procedimenti di rigetto assunti precedentemente a tale parere”.
Polemico il commento della Di Vita: “Siamo esterrefatti per la risposta del Ministero. Chi subisce danni per vaccinazioni obbligatorie, quindi per avere osservato la legge e aver agito per il bene dei propri figli affidandoli alle cure dello Stato dovrebbe da questi ricevere, come minimo, tutto il sostegno di cui ha bisogno. E invece, perfino quando a sbagliare è proprio lo Stato, assistiamo al venir meno del senso di responsabilità. Dal 2009 nella mia commissione si è discusso della questione. Il parere del consiglio di Stato sembrava aver posto definitivamente fine alla condotta irresponsabile del Ministero che invece è riuscito nuovamente a stupirci. Approfondiremo ulteriormente il caso. Vogliamo conoscere i numeri delle pratiche simili al caso di Terrasini, non vorremmo scoprire che dietro tutto questo possano esserci mere ragioni economiche, non è sulla pelle dei cittadini più svantaggiati che si risparmia, ora basta”.