PALERMO – “In nessun luogo quanto in Sicilia la verità ha vita breve. Il fatto è avvenuto da cinque minuti, e di già il suo nocciolo genuino è scomparso, camuffato, abbellito, oppresso e anninetato dalla fantasia. In breve il fatto è scomparso, la verità non c’è più”. Marcello Dell’Utri ricorre a un passo del Gattopardo per esprimere la sua difesa nel processo d’appello in corso a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Il senatore ha deciso infatti di rilasciare dichiarazioni spontanee. Per lui il 18 gennaio scorso il pg di Palermo, Luigi Patronaggio, ha chiesto ai giudici della corte d’Appello la condanna a sette anni di carcere.
Prima di lui, però, l’arringa difensiva dell’avvocato Massimo Krogh: “Marcello Dell’Utri è un’icona della giustizia. Hanno passato vent’anni a inseguirlo, sono state scritte tremila pagine di sentenza per condannarlo. Nella mia lunga esperienza giudiziaria, non ho mai visto scrivere tremila pagine per una persona sola. Lui si può considerare un’icona della giustizia”. Krogh ha iniziato così la sua arringa difensiva.
Venti anni di indagini, 3mila pagine scritte senza che in nessuna di queste aleggi un ragionevole dubbio sulla posizione di Dell’Utri: è questo, in sostanza, il punto fondamentale per la difesa. “Quello che mi stupisce e ha stupito anche la Cassazione – ha detto il legale – è che in tremila pagine non è mai aleggiato quel ragionevole dubbio, che non è un modo di dire, ma un prinicipio stabilito dalla nostra Costituzione”. E’ un’arringa fiume quella condotta da Krogh, che non ha lesinato critiche nei confronti delle dichiarazioni rese, nel corso del processo, dai collaboratori di giustizia. “Non c’è la prova che Dell’Utri abbia commesso un reato di concorso esterno in associazione mafiosa”, ha detto Krogh concludendo la sua aringa difensiva, al termine della quale ha chiesto alla corte il proscioglimento dell’imputato.
Poi è arrivato il momento di Dell’Utri e delle sue dichiarazioni spontanee. Ha esordito iniziando a leggere un passo del Gattopardo, un libro che secondo il senatore racchiude perfettamente il concetto di “sicilianità”: “In nessun luogo quanto in Sicilia la verità ha vita breve. Il fatto è avvenuto da cinque minuti, e di già il suo nocciolo genuino è scomparso, camuffato, abbellito, oppresso e anninetato dalla fantasia. In breve il fatto è scomparso, la verità non c’è più”.
Il senatore Pdl dice di trovarsi proprio nella condizione citata dal libro di Tomasi di Lampedusa: un uomo stanco, stanco di rispondere ormai da 20 anni a delle accuse che lui ritiene infondate. Proprio in ragione di questo status, nell’affrontare l’ennesimo processo, il senatore rivolgendosi ai giudici ha concluso le sue dichiarazioni dicendo: “Se potete, restituitemi a me stesso, alla mia famiglia. Credo che questo sia il massimo del mio obiettivo”. Intanto il processo è stato rinviato al prossimo 25 marzo, i giudici della Corte d’Appello si ritireranno quel giorno in camera di consiglio per emettere la senteza.