Marcello Dell’Utri è stato il “mediatore” tra la mafia e Silvio Berlusconi. Tramite il suo intervento il Cavaliere, indicato come vittima, pagò “cospicue” somme per garantirsi la protezione dei boss. Per lui e per i suo familiari.
Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni della sentenza che ha annullato con rinvio la condanna a sette anni per concorso esterno inflitta al senatore del Pdl. I supremi giudici spiegano nella 146 pagine della motivazione che in maniera “corretta” sono state valutate, dai giudici della Corte d’Appello di Palermo, le “convergenti dichiarazioni” di più collaboratori sul tema “dell’assunzione, per il tramite di Dell’Utri, di Mangano ad Arcore, come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa Nostra”. Provata anche la “non gratuità dell’accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore della mafia”.
Per quanto riguarda l’assunzione del mafioso Vittorio Mangano come stalliere nella villa di Arcore, la Suprema Corte scrive che il dato di fatto “indipendentemente dalle ricostruzioni dei cosiddetti pentiti, è stato congruamente delineato dai giudici di merito come indicativo, senza possibilità di valide alternative, di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell’Utri che, di quella assunzione, è stato l’artefice grazie anche all’impegno specifico profuso da Cinà”.
Le ragioni dell’annullamento con rinvio stanno tutte, secondo la Cassazione, nel “totale vuoto argomentativo per quanto concerne la possibile incidenza di tale allontanamento sulla permanenza del reato già commesso”. In sostanza, deve essere provato il concorso esterno di Dell’Utri a favore di Cosa Nostra, per gli anni che vanno dal 1977 al 1982, periodo durante il quale il senatore non lavorò più per Berlusconi ma venne assunto “alle dipendenze di imprenditore diverso e autonomo, il Rapisarda”. Da qui l’esigenza di celebrare un nuovo processo. La Cassazione, nel confermare l’accusa di concorso esterno in associazione a delinquere, a carico di Marcello Dell’Utri per i fatti contestatigli fino al 1978 (quando ancora non era stata introdotta nel codice l’aggravante mafiosa) afferma che non è importante la circostanza che le somme pagate da Berlusconi non siano state indicate con precisione in quanto il pentito Di Carlo le quantifica in 100 milioni di lire, mentre il pentito Galliano parla di un regalo di 50 milioni fatto dall’imprenditore, e il pentito Cucuzza parla di versamenti di 50 milioni l’anno. Quel che è “rimasto invariato e ripetuto” sottolinea la Cassazione è “il tema della ricerca e del raggiungimento di un accordo tra Berlusconi e Cosa Nostra per il tramite di Cinà e di Dell’Utri”. Accordo – prosegue la Cassazione – “volto a realizzare una proficua e reciproca collaborazione di intenti”.
L’appello bis del processo potrebbe non cadere in prescrizione. La Suprema Corte precisa, infatti, che si potrebbe applicare “il regime della prescrizione antecedente alla riforma del 2005 che valorizza il reato continuato”. Una frase in linguaggio giuridico che, tradotta, significherebbe lo spostamento della prescrizione prevista nel 2014. Dovrebbe esserci, dunque, il tempo per celebrare il nuovo dibattimento.