CATANIA. Classe 1996, laurea in Giurisprudenza ma da sempre appassionato al mondo della scrittura: questo il profilo del giovane catanese Francesco Raguni, autore dell’ultimo libro dall’iconico titolo “Demoni Interiori”.
“Il titolo richiama il Daimon socratico, da cui la visione filocristiana si era progressivamente distaccata, proponendo una pluralità di voci della coscienza la cui più forte viene proprio rappresentata dalla Morte”.
Il libro, nato già con l’intento di essere una raccolta di racconti diversamente dalla prima prova letteraria dell’autore, aveva già ben chiara la destinazione di ciascuna narrazione in modo da dividere in quattro sezioni presenti. Ciascuna sezione, poi, ha una linea tematica peculiare anche se la psicanalisi e il superamento della morte possono essere individuati come leitmotiv comuni dell’opera.
“Credo che nonostante nella società di oggi vi siano dei tentativi di accettazione del lutto e di apertura, la morte viene ancora percepita come un tabù. Nel momento in cui si parla di morte, l’interlocutore resta sempre stranito ma credo che essa sia, invece, l’unica certezza e punto fermo da cui partire nella propria esistenza”.
Parole forti che esprimono a pieno il vissuto che ha condotto l’autore a somatizzare e combattere con i propri “Demoni Interiori” in un tentativo brillantemente riuscito che viene espresso tra le righe dei racconti, in cui la cifra stilistica ha una forte impronta soggettivistica ma il cui esito raggiunge una lucida spersonalizzazione sintattica. Sono delle narrazioni personali, come ad esempio “Storia di una principessa divenuta regina” che narra di un sogno realmente fatto dall’autore, in cui il cinismo di un realismo ereditato dai grandi capisaldi della formazione di Francesco: Verga ed Hemingway, ha condotto ad esiti così epurati da speculazioni personalistiche tanto da renderli assimilabili ad esperienze che chiunque di voi avrebbe potuto vivere nel proprio quotidiano.
In antitesi, dunque, con lo stile dell’autore il capitolo “Tentativi di surrealismo” risulta essere il più interessante all’interno dell’architettura dell’opera. Aperto, come le restanti altre tre sezioni, da una citazione improduttiva che funge da incipit e slancio, viene caratterizzato dal racconto forse più rappresentativo della raccolta: “Il vestito nero” che consta di due parti.
La prima più leggera in cui il protagonista incontra in un ristorante una donna con indosso un vestito nero, che sembra essere familiare e che scoprirà essere la personificazione della Morte e la seconda, in cui l’apparizione della nefasta figura viene affrontata con toni più duri e sprezzanti.
Il messaggio di fondo risulta chiaro nel tentativo di esorcizzare il rapporto con l’aldilà e la sofferenza legata a delle perdite, in modo da rendere più lieve la sopravvivenza di chi resta. Tale obiettivo viene perseguito non soltanto dal punto di vista narrativo ma anche nella scelta della copertina, con l’utilizzo di una delle opere più note dell’artista Magritte: “La condizione umana” in cui gli elementi inseriti nello sfondo conferiscono un senso di indefinito caratteristico proprio dell’essere umano, accompagnati da una sottile linea che intende rappresentare la divisione fra la realtà e la percezione personale a cui ciascuno di noi è soggetto, mostrando come il confine sia lieve e superabile.
Un invito vitalistico, dunque, racchiuso tra le righe di un’opera avvincente che ad un occhio superficiale potrebbe sembrare funesta ma in realtà merita di essere approfondita storia dopo storia.