Motta, anche il Cga dà torto a Oikos: discarica non autorizzata - Live Sicilia

Motta, anche il Cga dà torto a Oikos: discarica non autorizzata

Il rinnovo dell'Autorizzazione integrata ambientale dell'impianto della famiglia Proto è illegittimo anche secondo i giudici amministrativi di secondo grado.

PALERMO – Due vittorie di fila per i comitati No discarica. E un altro catenaccio giudiziario verso la chiusura dei cancelli della discarica Oikos di contrada Valanghe d’inverno, a Motta Sant’Anastasia. Dopo il Tar, anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa dice che il rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale dell’impianto è illegittimo. Ed è tale non solo per colpa della particella 131. Ma anche per via del mancato rispetto della distanza minima obbligatoria di tre chilometri dal centro abitato mottese. La sentenza è stata pubblicata ieri ed è una débâcle totale per la società della famiglia Proto.

Lo strano caso della particella che non c’era

È il collegio del Cga, nelle premesse alla sua decisione, a ripercorrere a ritroso la storia del rinnovo dell’Aia della discarica di Valanghe d’inverno. L’Aia è l’autorizzazione ambientale necessaria ad abbancare immondizia nell’impianto alle porte di Motta: nel 2009 la Regione Siciliana la concede per la prima volta. Dieci anni dopo, nel 2019, la rinnova per un altro decennio. Ma, nel frattempo, qualcosa cambia. L’architetto Santo Gulisano, attivista No discarica di Motta, nota un apparente sconfinamento tra il perimetro di discarica autorizzato e il reale confine delle dune di spazzatura. Gulisano, scomparso a febbraio 2022, si rende conto che c’è all’incirca un ettaro di immondizia che si trova su una particella catastale di cui non trova riscontro.

È il 2016 ed è già iniziato il percorso di rinnovo dell’Aia concessa nel 2009. La questione della particella, di lì a poco, comincia a essere discussa all’interno degli uffici. Durante la Conferenza dei servizi necessaria al rinnovo, il Comune di Motta Sant’Anastasia e la Città metropolitana di Catania sostengono che, nei documenti inviati da Oikos, ci sia una porzione che prima non c’era. Negli elenchi particellari, dicono, la 131 non esiste. E nemmeno nelle mappe.

In mezzo alla poderosa mole di documenti da produrre per ottenere l’autorizzazione a una discarica, la particella 131 appare in due sole tavole. E cioè l’allegato 2B, in cui però non è esplicitamente citata. E la Tavola 03, che spunta fuori da un faldone diverso rispetto al resto del materiale: la mappa non ha data né numero di protocollo. Ha, invece, un timbro e una sola firma: quella dell’architetto Antonio Cannova, funzionario regionale condannato in primo grado per corruzione nel processo Terra mia, in cui è imputato insieme a Mimmo Proto. Che è anche il patron della Oikos.

Tra una riunione tecnica e l’altra, vengono fuori altri due particolari. Il primo è che la particella 131 diventa di proprietà della Oikos nel 2017, quasi un decennio dopo la concessione dell’Aia. Il secondo è che, al momento dell’acquisto, la destinazione urbanistica di quell’ettaro di terreno non ha a che fare con la discarica. È, invece, un’area destinata a verde agricolo.

Il ricorso al Tar e il riesame dell’Aia

Tutti questi elementi diventano il corpo dei ricorsi dei Comuni di Motta Sant’Anastasia e Misterbianco, i più vicini a Valanghe d’inverno, e delle associazioni Zero waste Sicilia e Legambiente, contro il rinnovo dell’Aia concesso il 9 agosto 2019. Pochi giorni prima, Proto era stato condannato in primo grado. A dicembre di quell’anno, il Tar di Catania decide che “i plurimi profili di articolata contestazione del provvedimento impugnato impongono un approfondimento istruttorio”.

I giudici amministrativi chiedono alla Regione Siciliana una relazione su quel provvedimento autorizzatorio, e copia di tutti i documenti eventualmente citati nell’elaborato. Ad aprile 2020, l’allora presidente della Regione Nello Musumeci, oggi ministro della Protezione civile, annuncia l’avvio del procedimento di “riesame dell’Aia”. Che dovrebbe servire a fare chiarezza, quantomeno sul piano della correttezza del lavoro degli uffici regionali, ma che di fatto non porta a nulla. Tanto che perfino i giudici del Tar ne fotografano l’inconcludenza: “Non risulta, tuttavia, che il procedimento di riesame sia stato definito o abbia avuto alcun seguito”.

La perizia da Reggio Calabria

Mentre dagli uffici palermitani tutto tace, l’Università Mediterranea di Reggio Calabria lavora su mandato del Tar etneo. Il lavoro del professore Vincenzo Barrile, dell’ateneo calabrese, si conclude a febbraio 2022. Nella perizia depositata, Barrile non riesce a dire con certezza se la particella 131 sia oppure no da considerarsi parte della discarica autorizzata già nel 2009, e quindi possibile oggetto di rinnovo nel 2019. Afferma, in sintesi, Barrile: se si tiene conto della Tavola 03, allora la particella 131 è autorizzata. Se invece si decide di tenere conto di tutte le “anomalie/criticità” che connotano la scoperta di questa tavola, allora la particella 131 non è autorizzata.

Il perito del tribunale, insomma, lancia la palla nel campo dei giudici. Aggiungendo, però, un altro elemento: anche immaginando che la particella 131 sia inclusa nei progetti, resta “una differenza in termini di superficie dell’ordine di circa 4000 metri quadrati“. A cui si aggiungono altri 4500 metri quadrati di differenza, dovuti a una recinzione. In sintesi, dice l’ingegnere di Reggio Calabria, “l’area impegnata dalla discarica” per come autorizzata nel 2009 “non è la stessa di quella del progetto relativo al rinnovo” nel 2019.

La sentenza del Tar

Il 14 giugno 2022, il Tar di Catania decide: il rinnovo dell’Aia è illegittimo e gli atti del procedimento amministrativo devono essere inviati alla procura della Repubblica di Palermo e di Catania “per le eventuali valutazioni di rispettiva competenza”.

Nella sentenza di primo grado, si legge che “non può sostenersi che il layout (cioè gli elaborati grafici, ndr) – che notoriamente ha una funzione esplicativa e chiarificatrice del progetto – possa prevalere o addirittura porsi in contrasto con il dato testuale contenuto nell’estratto particellare”. Cioè: non è che se la particella 131 era in una delle tavole, allora si poteva evitare di citarla nei documenti che riguardano l’estensione della discarica.

Da questo punto derivano a cascata una serie di conclusioni: se nel 2009 la particella 131 non era inclusa, allora non è cambiata la sua destinazione d’uso. E cioè “verde agricolo”, anziché discarica di rifiuti solidi urbani. Perché l’Aia è un provvedimento che costituisce variante dei Piani regolatori dei Comuni: se la particella non c’era, non c’era niente da variare. Siccome, però, nei documenti allegati al rinnovo del 2019 la particella 131 è chiaramente inclusa, allora non si può concedere un rinnovo. Perché le condizioni di partenza sono mutate.

Il ricorso di Oikos e la decisione del Cga

Com’è ovvio, di fronte alla sentenza del Tar, Oikos dà battaglia. Fa ricorso al Consiglio di giustizia amministrativa e vince la prima battaglia. Ottiene, cioè, la sospensione cautelare degli effetti della sentenza del Tar, che prevedeva la chiusura dei cancelli della discarica di Valanghe d’inverno. L’impianto di conferimento dei rifiuti può riaprire, in attesa del pronunciamento di merito del Cga.

Tra i motivi per i quali Oikos spa appella la sentenza, c’è anche che sarebbe “irrilevante la precisa indicazione, nel corpo del provvedimento autorizzatorio, del numero di particelle interessate”. I giudici dovrebbero tenere conto non solo della “buona fede”, ma anche del fatto che “nel corso di 14 anni, sebbene vi siano state ispezioni sui luoghi, verifiche e accertamenti in ordine alla regolarità della discarica, mai alcuna amministrazione ha contestato l’inserimento della particella 131 nell’Aia 2009″.

La tesi dell’appellante non convince“, scrive lapidario il Cga. Per il Consiglio di Giustizia Amministrativa di Palermo è vero che il procedimento dell’Aia è nato con l’obiettivo di semplificare le procedure per le autorizzazioni a impianti come le discariche. Ma è vero anche che – “per determinate attività potenzialmente lesive di diversi fattori ambientali” – semplificazione significa anche “assoluta chiarezza”. E presuppone che “tutti gli atti siano in essa espressamente contenuti”, altrimenti che semplificazione sarebbe? Anche per questo, “il Collegio ritiene di non potere attribuire valore probatorio” alla Tavola 03. A prescindere dal fatto che sia stata firmata dal solo architetto Cannova, che sembra abbia dimenticato di datarla.

I tre chilometri dal centro abitato

Se non dovesse bastare tutta l’intricata questione della particella 131, il Cga aggiunge il tema della distanza minima dal centro abitato. Che una legge del 2012 stabilisce essere di tre chilometri. Secondo la normativa, tutte le richieste di autorizzazione ambientale partite fino al 7 gennaio 2013 avrebbero potuto non tenere conto del tema dei tre chilometri, appena sopraggiunto.

La richiesta di rinnovo dell’Aia, però, viene trasmessa dalla Oikos il 17 settembre 2013. Cioè nove mesi dopo il limite ultimo posto dalla “disciplina sopraggiunta”. La Regione Siciliana avrebbe dovuto dunque valutare il rinnovo sulla base della nuova legge, non di quella vecchia. “Poiché non è contestato che l’impianto si trova a una distanza inferiore a tre chilometri dal perimetro urbano di Motta Sant’Anastasia, il rinnovo, sotto tale dirimente profilo, appare illegittimo”.

Poi, scrive sempre il Cga, ci sarebbe anche la questione del fatto che alcuni dei codici europei dei rifiuti (i CER) sono indicati in maniera sbagliata. Un “mero errore“, secondo Oikos. Che per i magistrati basterebbe a postulare l’illegittimità del rinnovo dell’Aia. Ma a questo aspetto dedicano giusto tre righe. Le ventuno pagine precedenti sono già dense così.


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