Dopo Giambrone anche Salto |Partinico, liberi gli eredi dei clan - Live Sicilia

Dopo Giambrone anche Salto |Partinico, liberi gli eredi dei clan

Da sinistra Giuseppe Giambrone e Nicolò Salto. Sullo sfondo, l'agguato subito da quest'ultimo

Il retroscena rivelato da "S": i rappresentanti degli schieramenti contrapposti che fra il 1998 e il 2008 hanno insanguinato il paese sono di nuovo in circolazione. E mentre il racket torna a farsi sentire, gli investigatori temono una nuova escalation.

Dal nuovo numero di "S"
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PARTINICO – Mentre a Palermo si rimescolano le carte, a Partinico i protagonisti sono tornati in circolazione. Ma l’ascia di guerra, dopo dieci anni di omicidi che hanno insanguinato il paese, potrebbe essere stata sepolta. Il 12 febbraio è tornato a piede libero Nicolò Salto, che ha scontato i due anni di carcere a cui era stato condannato in seguito all’operazione “The end”: a rivelarlo è il nuovo numero di “S”, che nel viaggio fra i nuovi assetti di Cosa nostra dedica un capitolo specifico a Partinico, dove la guerra di mafia ha mietuto vittime dal 1998 al 2008.
La traduzione italiana della retata che ha portato in cella Salto è “la fine”. Ora, però, chi indaga commenta la notizia del ritorno in libertà di Salto con un laconico “si ricomincia…”. Perché, ancor prima di Salto, in paese è tornato, ai primi di settembre, Giuseppe Giambrone. Si tratta di due persone che, nel passato, hanno rappresentato due schieramenti contrapposti che hanno portato a una catena di omicidi e di lupare bianche, di pistolettate di cui, a suo tempo, nell’ottobre 2008, è rimasto vittima anche lo stesso Nicolò Salto, scampato miracolosamente a quattro colpi di calibro 9. Il timore, anche al di là delle responsabilità personali di chi ha già saldato il proprio conto con la giustizia, è che possa riproporsi quella contrapposizione che ha insanguinato le strade del paese che rappresenta la cerniera fra i territori di Palermo e Trapani.
In paese, del resto, la tensione è alta. All’inizio di marzo il racket ha ribadito la propria presenza dando fuoco a quattro autocarri, mentre a gennaio era finita nel mirino una ditta di Borgetto, la “Geosystem” di Domenico D’Arrigo, figlio di Leonardo, in passato finito sotto inchiesta perché considerato vicino alla cosca della zona. Il rogo ai loro danni distrusse i mezzi aziendali: fu appiccato dopo un contatto con “Libero Futuro”, con la quale gli imprenditori volevano intraprendere un percorso di legalità.


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