"Due metri quadri a detenuto" - Live Sicilia

“Due metri quadri a detenuto”

Intervista a Lino Buscemi
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Uno spaccato duro, crudo e reale del mondo delle carceri siciliane dove il diritto sembra sospeso, dove alcuni detenuti sono sprovvisti pure del vestiario, perfino della biancheria intima. A tratteggiarlo è l’avvocato Lino Buscemi, dirigente dell’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti e profondo conoscitore dei mali del sistema penitenziario regionale.

Avvocato Buscemi, quali sono le condizioni del pianeta-carcere siciliano?
“Sono condizioni drammatiche. Tra i primati negativi che la Sicilia detiene vi è anche quello del sovraffollamento delle prigioni, siamo secondi solo alla Lombardia. Su un totale di 67 mila detenuti in Italia, nella nostra regione se ne contano più di 8 mila, a fronte di una tollerabilità massima degli istituti siciliani che è pari a 5 mila unità. Secondo le convenzioni internazionali in materia, ogni detenuto ha diritto a 5 metri quadri all’interno della sua cella. In Sicilia la media è di appena 2 metri quadri.Vorrei segnalare un ulteriore dato: le situazioni più difficili non le vivono i mafiosi, come si crede, che quantomeno hanno le loro stanze e l’acqua calda, bensì i detenuti comuni”.

Quali sono gli altri disagi alla base delle segnalazioni che vi giungono come Ufficio del Garante dei detenuti in Sicilia?
“Innanzitutto c’è il problema dello spazio: non è umano vivere in 12 in una cella. In molti, poi, ci scrivono perché chiedono semplicemente di essere trasferiti in carceri più vicine al luogo in cui vivevano, per non pesare troppo sui bilanci delle loro famiglie, che sono quasi sempre piuttosto disastrate. Poi vi è il dramma dei servizi sanitari: chiedono visite mediche più frequenti, hanno bisogno di dentiere o di busti per il mal di schiena. Manca anche questo. La Sicilia è l’unica regione a non aver ancora attivato strumenti per il trasferimento del servizio dal sistema sanitario penitenziario a quello sanitario regionale, e questo provoca la precarietà dei medici che lavorano negli istituti di pena siciliani”.

Nel Rapporto contro la tortura e per i diritti dei detenuti che avete presentato alla U.E. chiedete la chiusura di alcune prigioni dell’Isola. Quali sono e perché?
Abbiamo chiesto la chiusura di ben otto carceri siciliane: l’Ucciardone di Palermo, Favignana, Mistretta, Marsala, San Cataldo, Noto, il Gazzi di Messina e il carcere di Piazza Lanza di Catania. In questi istituti, oltre ai problemi già citati, non funzionano i servizi igienici, i detenuti sono costretti a fare i loro bisogni davanti a tutti, escono perfino topi e scarafaggi dai bagni. C’è il problema della carenza di psicologi, assistenti sociali, interpreti e mediatori culturali. Poi c’è lo scandalo del carcere di Gela: ci sono voluti 51 anni per realizzarlo, l’ex sindaco Crocetta qualche anno fa ha consegnato le chiavi all’allora Guardasigilli Mastella, ma è ancora chiuso. Il carcere di Noto, invece, funziona solo a mezzo servizio, in quello di Villalba, vicino Caltanissetta, pascolano invece indisturbate le mucche”.

Tutto questo, secondo voi, si ripercuote negativamente sui detenuti, anche quando finiscono di scontare la loro pena.
“Senza dubbio. L’umanizzazione della pena favorisce il reinserimento sociale dopo la liberazione. La pena, come dice la nostra Costituzioni, non è affittiva, ma rieducativa. I detenuti devono poter lavorare o studiare. Se consegniamo bestie alla società, esse torneranno a delinquere. Lo dimostrano le statistiche: tra i detenuti avviati a corsi di recupero solo il 5% torna a compiere delitti, mentre la quota sale all’87% tra quelli trattati in modo disumano, in spregio di tutti i diritti. I paesi civili si distinguono da quelli incivili, come diceva Calamandrei, per tre cose: la legge elettorale, il codice di procedura penale e lo stato delle carceri. Per questo non accettiamo che i detenuti vengano torturati o siano costretti a sopportare angherie. Uno Stato di diritto non può scendere al livello dei criminali. Le carceri italiane, e quelle siciliane nello specifico, sono in questo momento fuori dalla Costituzione”.

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