Antonello Cracolici ride. Dal suo punto di vista con ragione. La sua Inter ieri ha vinto. Il governo regionale si farà nei termini che egli aveva previsto. Anzi, pilotato. La finezza politica del “rosso di pelo” del Pd è maturata con grazia e forza nelle lotte interne, nel sangue che scorreva lungo le stanze del Palazzaccio di corso Calatafimi, ex sede storica e pericolante del partito a Palermo. Furono stagioni tremende di sorrisi apparenti e veraci lunghi coltelli. Una carovana di nemici ha cercato in tutti modi, e in ere gelogiche differenti, di far fuori il “rosso” e la sua corte. Invano. Questa longevità politica è segno di furbizia. Cracolici, rida pure, se le viene da ridere.
Tuttavia, le sarebbe convenuto osservare lo spettacolo dell’unzione di Lombardo durante il dibattito alla Festa Democratica. L’onesto Giuseppe Lupo è via via scomparso sotto i colpi di maglio dell’oratoria presidenziale – come è stato raccontato qui – massacrato dalla spingarda dell’immaginario Lombardiano. Alla fine delle danze, il governatore è diventato re, incoronato sul campo da un popolo straniero, nemmeno facile alle concessioni. Nominato, scelto e confermato da applausi convinti e scroscianti.
Ora, caro Antonello, una cosa è certa in tanta incertezza. Lombardo non pianta mai i suoi semi casualmente nel potere altrui. E’ un cataclisma. Quando arriva, dopo i primi sorrisi di circostanza, spodesta, rompe tutto e non si dà per vinto se il macello non è compiuto. Non è crudeltà, è lo stratagemma della sopravvivenza.
E lei ride ancora Cracolici, sapendo di avere consegnato il “suo” partito nelle mani di Gengis Khan?