“Sono venuto in Italia perché pensavo che qui avrei trovato un Paese democratico. Ma è democratico trattarci come animali e costringerci a dormire per strada?”. Lo dice Ibrahim Musa, 35 anni, uno dei 25 sudanesi ospitati nel centro sociale Laboratorio Zeta. Musa è arrivato a Palermo nel 2003 e ha trovato lavoro in un phone center in via Maqueda. “I palermitani non sono razzisti – continua Musa – sono stato accolto bene, con grande generosità e solidarietà. I cattivi sono le istituzioni che da un giorno all’altro ci buttano per strada”. La pensa allo stesso modo Saib Tair che ha lasciato nel suo Paese una moglie e due figli “Ho dormito in tenda con altri tre compagni. Non so dove andare. Non ho una casa. Qua era la mia casa. Questo è un governo razzista”. “Qua è come Rosarno – continua -. A Palermo non ci sono servizi per immigrati, non ci sono strutture di assistenza e possiamo fare affidamento solo su strutture di volontari come il laboratorio Zeta”. “Cosa faranno ora – continua Zaher Darwish, responsabile provinciale Cgil immigrati – tutti questi rifugiati politici? Dove andranno? Non c’é nulla in città. Non possono certo andare nella struttura di Biagio Conte che è costantemente al collasso”. “Aspettiamo dalla prefettura l’assegnazione di un alloggio provvisorio – continua – ma queste persone non hanno bisogno solo di un dormitorio ma anche di un centro ricreativo dove si organizzino anche iniziative culturali. Nel laboratorio avevano un punto di riferimento: ora si sentono svuotati anche della loro identità”. Intanto in via Boito è arrivato un delegato dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati che sta parlando con i 25 sudanesi.
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