Il filo sottile che lega la morte| di Mattei, De Mauro e Scaglione - Live Sicilia

Il filo sottile che lega la morte| di Mattei, De Mauro e Scaglione

Processo De Mauro
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Lo aspettavano tutti ma lui, Totò Riina, da buon capomafia ha tenuto la bocca chiusa. Eppure le sue dichiarazioni spontanee erano attese, perché al processo sulla scomparsa del giornalista de “L’Ora”, Mauro De Mauro, era di scena la testimonianza di Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo che Riina ha più volte apostrofato come poco credibile. La contrapposizione, così, è stata demandata al suo legale, Luca Cianferoni, che ha causato lo slittamento dell’inizio dell’udienza, non essendosi presentato in orario e non avendo mandato alcun sostituto. Ma il colpo di scena l’ha riservato all’ultimo, quando ha chiesto di sentire come testimoni il prefetto Mario Mori (imputato in un altro processo a Palermo), l’ex generale dell’Arma Antonio Subranni e l’allora capitano Giuseppe De Donno. Testi a confutazione, si direbbe, che servirebbero a “smontare” la testimonianza di Ciancimino.

Le dichiarazioni di Massimo Ciancimino ruotano attorno agli avvenimenti del 1970 (quando il figlio di Don Vito aveva sette anni) che ha potuto ricostruire solo successivamente – attorno al 2000/2002 – quando col padre avrebbero deciso di scrivere un memoriale sulla sua storia. E Ciancimino jr parte dai suoi ricordi diretti a proposito del procuratore di Palermo, Pietro Scaglione, ucciso il 5 maggio del 1971. “Era uno dei migliori amici di mio padre – racconta il testimone – che frequentava anche nei momenti liberi. A casa sua, nel 1969, ho assistito allo sbarco sulla luna. Si partiva assieme, andavamo alle terme di Montecatini. Era un’amicizia molto particolare e mio padre pianse quando Scaglione fu ucciso. Si sentii male e fu necessario chiamare un dottore”.

L’omicidio Scaglione è ritenuto connesso alla scomparsa di Mauro De Mauro che “mio padre conosceva – aggiunge Ciancimino – ma che non stimava, come tutta la ‘razza’ dei giornalisti. Li teneva lontano, soprattutto i nemici de ‘L’Ora’ che avevano osteggiato la sua candidatura a sindaco di Palermo con una dura campagna stampa”.

Perché tutto accadde in quel 1970, quando Vito Ciancimino è diventato sindaco, ma solo per 19 giorni. Sarebbe avvenuto allora il ‘salto di qualità’ dell’uomo venuto da Corleone, “chiamato a Roma da Ruffini e Restivo per essere investito del ruolo di ‘trait d’union’ fra ambienti istituzionali e i suo ‘paesani’”. Luciano Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano. Sarebbe stato quello il momento in cui a Don Vito è stato introdotto il famigerato ‘signor Franco’ che gli avrebbe chiesto di “fare da collegamento con i ‘corleonesi’ e monitorare la situazione: doveva fare da informatore e tenere a bada le loro inziative… si sapeva che c’era il loro coinvolgimento nel tentativo di golpe di Borghese” racconta Ciancimino jr.

Ma qualcosa nel ‘canale di comunicazione’ non deve aver funzionato,  Scaglione è stato ammazzato. “Mio padre è stato assalito dal dubbio, dall’angoscia e dal senso di colpa”. Secondo quanto racconta il figlio, Vito Ciancimino sarebbe stato inviato da Scaglione per chiedere una revisione del procedimento a carico di Luciano Liggio alla quale il giudice si sarebbe opposto fermamente. “La stessa richiesta è stata inoltrata al dottor Palazzolo che l’ha accettata” continua Ciancimino jr che aggiunge come il padre aveva consigliato al magistrato di non prendere in mano il fascicolo sulla scomparsa di De Mauro: “gli ha detto che si era imbarcato in una situazione più grande si sé”. Perché il delitto del giornalista era una vicenda che andava “fuori dall’ambito territoriale, andando a toccare logiche ed equilibri più grandi”.

C’era una regia unica in “tutti gli accadimenti del ‘70: la fuga di Liggio dalla clinica, la scomparsa di De Mauro e l’omicidio Scaglione”. “L’input veniva da Roma e la logistica era locale. Loro si erano attenuti agli ordini romani – continua Ciancimino jr, riferendo quanto appreso dal padre – Scaglione è stato ucciso per aver preso in mano il fascicolo sulla scomparsa di De Mauro”. Mentre per quanto riguarda il giornalista scomparso, i motivi della sua eliminazione risalirebbero “alle inchieste sul delitto Mattei, il golpe Borghese e le esattorie dei cugini Salvo”.

Il delitto Mattei, il golpe Borghese e le indagini sui cugini Salvo. Sono i tre moventi che emergono dal lungo processo sulla scomparsa di Mauro De Mauro. I primi due sono stati sostenuti anche da un pentito di peso come Antonino Calderone, il terzo, invece, dal collaboratore Gioacchino Pennino. Quello su cui pare esserci accordo è che la mafia abbia semplicemente svolto il ruolo di manovalanza, come del resto ha dichiarato l’ultimo pentito sentito al processo, Antonio Di Perna. L’ex uomo d’onore della famiglia di Gela ha raccontato come a loro, originariamente, era stato commissionata la manomissione dell’aereo con cui morirà il presidente dell’Eni. Mattei, De Mauro e Scaglione. Tre omicidi, ormai, legati l’uno all’altro da un filo sottile.


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