E se avesse ragione Grillo? - Live Sicilia

E se avesse ragione Grillo?

La provocazione del leader 5 Stelle che chiede all'Europa di non dare più soldi a Sicilia, Calabria e Campania, è l'occasione per discutere dei quasi impalpabili effetti dei fondi europei.

Il commento
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Dice Beppe in Europa: “Sono venuto qui già due-tre volte per dire: non date finanziamenti all’Italia”. Aggiunge Beppe: “Scompaiono tutti in tre regioni: Calabria, Sicilia e Campania e quindi a mafia, ‘ndrangheta e camorra”. E anche se Beppe di cose ne dice, e ormai tutti ci hanno fatto più o meno l’abitudine alle sue sparate, la frase è di quelle che tocca un nervo scoperto e accende comunque la polemica. Le repliche dei politici nostrani non mancano e le potete leggere sul nostro giornale.

Difesa d’ufficio, e pure facile, perché va da sé che Grillo l’ha sparata grossa. Sarebbe fin troppo semplice indossare la casacca dell’orgoglio terrone e faxare al signor Beppe da Genova qualche centinaio di pagine di articoli su, tanto per dire, le ultime inchieste giudiziarie sull’Expo milanese e sul Mose veneziano, per far presente come corruttele, infiltrazioni e zone d’ombra, ahinoi, in Italia dilaghino a ogni latitudine quando di mezzo ci sono succulenti appalti pubblici. Epperò, anche se non è trendy dirlo e persino pensarlo offende la political correctness che imbriglia la pubblica arena, il problema sollevato da Grillo, con quella sparata un po’ così, provocatoria (come provocatorio è il titolo di quest’articolo) se non volutamente cialtrona, esiste, eccome se esiste.

Se ne accorsero, per dire, un paio di anni fa quelli del Sunday Telegraph, che pubblicarono un ampio reportage dal titolo “Guadagnare un sacco con gli appalti: come la mafia italiana ha saccheggiato i fondi Ue per le costruzioni”. Nella corrispondenza dalla Calabria il Telegraph citava delle inchieste riguardanti infiltrazioni della ‘ndrangheta in appalti finanziati da fondi europei. Di incroci tra mafia e fondi europei hanno parlato anche le cronache siciliane in passato, ad esempio a proposito di contributi comunitari per l’agricoltura. “La criminalità organizzata ha da tempo messo gli occhi sui fondi europei. Un problema, questo, che non riguarda solo l’Italia e su cui l’Unione europea deve fare di più”, denunciava un paio d’anni fa l’allora eurodeputata del Pd Rita Borsellino, che aggiungeva: “Non possiamo accettare che le risorse per lo sviluppo si trasformino in un ulteriore fonte di reddito per le mafie”. E ancora solo nel maggio scorso, Giovanni Kessler, direttore generale dell’Olaf, l’Ufficio antifrode europeo, affermava, citato da un quotidiano siciliano, che la Sicilia era una delle regioni dove si è investigato molto e dove gli interessi mafiosi sui fondi europei sono innegabili “dal momento che le organizzazioni mafiose hanno ancora un certo controllo del territorio e sopratutto ora che i fondi europei sono i soli fondi pubblici che circolano”.

Il problema esiste ed è quello di un Paese, tutto intero, e qui Grillo è senz’altro censurabile, in cui l’illegalità sotto forme diverse divora e consuma risorse, assumendo i contorni della corruzione, della concussione e dell’infiltrazione della criminalità organizzata. Che va dove la porta il contante, sia esso un appalto milionario o la monetina del parcheggiatore abusivo.

Il problema c’è e si aggiunge a problema, a quello di fondo dell’incapacità di politica e burocrazia di programmare e spendere le risorse stanziate dall’Europa. Quelli della programmazione 2007-2013 sono ancora quasi per metà tutti lì ad attendere, e manca solo un anno e mezzo all’ora x, quando Bruxelles busserà alla porta per riportare a casa quanto Stato e regioni non sono stati in grado di spendere. Uno spreco che grida vendetta al cielo in un paese devastato dalla crisi e tanto più in un Mezzogiorno (è lì che il grosso delle risorse dovrebbe arrivare) sempre più in caduta libera.

La valanga di miliardi piovuta sull’Italia è rimasta ancora per buona parte in cassaforte. E la parte che è stata spesa, indicatori economici alla mano, quanto ha giovato all’Italia e al Sud? Nel 2007 la disoccupazione a livello nazionale era al 6,1 per cento, oggi è al 13,6. Nel Sud, principale beneficiario degli aiuti europei, nello stesso periodo si è passati dall’11 al 21,7 per cento. In Sicilia siamo precipitati dal 13 per cento al 23,3. Per non parlare del Pil, che in Italia dal 2007 al 2013 ha bruciato 8,7 punti percentuali (contro l’1,7 della zona euro). In Sicilia il Pil reale solo nel biennio 2012-2013 ha perso il 6,3 per cento. Certo, di mezzo c’è stata la più terribile crisi economica internazionale da un secolo a questa parte, ma i fondi comunitari avrebbero potuto rappresentare un’interessante misura anticiclica che invece ha sortito effetti impalpabili.

Insomma, per tornare al punto, caro Beppe, come direbbe qualcuno stai sereno: i soldi dell’Europa qua “rischiano” di non arrivarci nemmeno alla mafia, ma di tornarsene dritti dritti a casa, senza nemmeno passare dal via.

Ecco perché, provocazioni di Grillo a parte, alla vigilia dell’avvio della nuova programmazione 2014-2020 è opportuno mettere a fuoco una strategia efficace per non ripetere gli errori del passato. Puntando a investire, come ieri su Livesicilia proponeva Lino Leanza, su interventi da valutare in ragione dei loro possibili effetti sul Pil e sulla ricaduta occupazionale. Su questo, il nostro giornale si propone di svolgere da qui al 22 luglio, quando il nuovo piano dovrà essere predisposto, e anche dopo, un ruolo di pungolo per la politica. Nella speranza di non doverci rassegnare a perdere l’ennesimo treno.


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