(di Paolo Cucchiarelli – Ansa) Enrico Brogneri è un avvocato civilista di Catanzaro. Un uomo giustamente puntiglioso nel raccontare – e difendere- cosa ha visto nella sua città la sera del 27 giugno del 1980, il giorno della strage di Ustica. Alle ore 21:30 ebbe “per un caso fortuito la possibilità di vedere in modo nitido un aereo mentre a fari spenti e silenziosamente sorvolava la città di Catanzaro, quasi planando ad una quota tanto bassa da lasciarmi attonito per lo stupore”. Quell’aereo militare, passatogli sul capo a pochi centinaia di metri aveva avuto un ruolo nell’abbattimento di Dc9? Brogneri ha portato la sua testimonianza nei tribunali della Repubblica e oggi che la vicenda trova nuovo alimento dal riproporsi della pista Irakena, cioé di un attacco connesso con il traffico di uranio che era in transito proprio quella sera questa testimonianza, raccontata in due volumi ( “Ai margini di Ustica”) pubblicati “in proprio” dall’avvocato, torna di stretta attualità. Brogneri sostiene che l’aereo italiano venne abbattuto nel corso di una battaglia area intrapresa per impedire che i francesi consegnassero all’Irak una decisiva partita di uranio per la costruzione della bomba che gli italiani stavano contribuendo a costruire nella centrale di Osirak. Un riferimento che si “aggancia” al traffico di uranio che partiva dal centro Enea di Rottondella ( dove gli irakeni erano di casa) di cui parla il pentito della ‘ndranghetra Francesco Fonti. Ecco le domande rivolte all’avvocato. – Quell’aereo aveva una qualche “insegna”, coccarda nazionale? L’aereo che ha sorvolato la città di Catanzaro non mostrava alcuna coccarda. – Lei ipotizza una responsabilità per i servizi italiani nella vicenda: quella di aver “consigliato” ad un aereo da trasporto (probabilmente di uranio francese in consegna verso l’Iraq) di “infilarsi” sotto un aereo civile per sottrarsi ad un “agguato”. – Non è proprio così. Nella lettera che inviai il 2 marzo 1994 al giornalista Claudio Gatti ( autore del volume “Il quinto scenario”) non ho inteso riferire ai servizi italiani la responsabilità di aver dato consigli sbagliati. Ho invece parlato di una probabile strategia, elaborata dai servizi deviati, che prevedeva che l’uranio da consegnare all’Irak fosse stivato dentro un cargo esteriormente camuffato da normale aereo di linea e che il velivolo procedesse sulla scia del DC9 ma a distanza di sicurezza per non dover correre i rischi di sabotaggio che si è invece voluto far correre agli ignari passeggeri dell’Itavia. Ciò significa che i due servizi (francesi e italiani) erano forse consapevoli di mettere a repentaglio la vita dei passeggeri. Il mio convincimento, inoltre, è che l’aereo militare rilevato dai radar molto prossimo al DC9, avesse la principale funzione di disorientare gli israeliani e, in caso di attacco, di indurli in errore sul bersaglio da colpire. Ed è a questo punto che l’argomento diventa raccapricciante, per cui preferisco riconoscere in solitudine che il mio punto di vista è suffragato solo da indizi logici e da labili riscontri. – Ha visto che le affermazioni del pentito Fonti si “incrociano” sul piano logico con la sua lettura dei fatti? Quel che sta emergendo sulle navi dei veleni è sui traffici con il coinvolgimento della mafia mi terrorizza ma non mi sorprende più di tanto. E’ difficile dire se sia possibile ravvisare un legame con la strage di Ustica, ma se un collegamento venisse accertato, come escludere una correlazione anche con tutti gli altri misteri italiani nei quali è una costante vedere aleggiare personaggi dei servizi segreti? E come escludere l’esistenza di un ampio disegno articolato per la conquista del potere? Ho cercato di mettermi in contatto col giudice Palermo dopo la lettura del suo libro. Avrei voluto chiedergli perché, riportando la mia testimonianza, non aveva ritenuta l’opportunità di dar conto dei chiarimenti che avevo spontaneamente fornito a Priore sul tipo di aereo che avevo visto sulla mia città. Non ci sono riuscito, ma una persona a lui vicina all’epoca mi rispose con queste parole: ‘Il giudice Palermo pensa che il caso Ustica debba essere affrontato con la strategia del mordi e fuggi’. Dopo quanto gli è successo, credo meriti la giusta comprensione. – Lei ha avuto problemi, pressioni, tanto da pubblicare in proprio i suoi due volumi. Da quando sono usciti ha avuto altri riscontri alla sua interpretazione dei fatti? L’iniziativa di pubblicare in proprio i due libri è maturata quando mi sono reso conto che gli editori subivano l’influenza nefasta della politica. Dal procedimento, al di là degli oneri e dell’esito, sono emerse di riflesso tante stranezze che in parte consentono di capire come e perché sono stati assolti i generali di Ustica e in parte inducono a riflettere sullo stato della nostra giustizia.
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