PALERMO – Di sicuro c’è solo che non si nascerà. Almeno non lì. Anche se dove sia “lì” non è ancora chiaro: fra 29 giorni, a meno di deroghe dell’ultimo minuto, chiuderanno i battenti per sempre i punti nascita siciliani che nel 2014 hanno registrato meno di 500 parti. Diciassette strutture, secondo il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, oppure tredici secondo l’assessorato regionale alla Sanità: l’elenco è ancora indefinito, visto che l’assessorato ritiene di avere incassato una deroga per quattro punti nascita, ma i preparativi stanno già cominciando. In attesa di una pronuncia definitiva del ministero.
I centri che chiuderanno
La storia dei punti nascita da chiudere inizia negli ultimi giorni d’inverno. Sono passati pochi giorni dal caso-Nicole, e il ministero chiede alla Regione di stringere la cinghia chiudendo le strutture nelle quali l’anno prima si sono sentiti pochi primi vagiti. L’assessore alla Salute di allora, Lucia Borsellino, si adegua: dell’elenco fanno parte Cefalù (417 parti nel 2014). Licata (415), Mussomeli (203), Bronte (264), Paternò (274), Nicosia (243), Lipari (13), Sant’Agata Militello (407), Corleone (192), Partinico (475), Petralia Sottana (129), Pantelleria (47), la clinica Attardi di Santo Stefano di Quisquina (136), le cliniche Gretter (392) e Argento (54), entrambe di Catania, e l’ospedale Papardo di Messina (156).
A marzo, però, l’assessorato alla Salute chiede alcune deroghe. “La possibilità – spiega il capo della segreteria tecnica dell’assessore Baldo Gucciardi, Stefano Campo – è esplicitamente prevista dalla legge per i centri difficili da raggiungere”. Partono così due richieste: prima per Mussomeli, Bronte, Nicosia, Corleone, Lipari, Petralia Sottana, Pantelleria, Santo Stefano di Quisquina e per la riapertura del punto nascita di Mistretta, chiuso nel 2012, e poi anche per Cefalù e Licata. “Il ministero – prosegue Campo – ha rifiutato le deroghe per Mussomeli, Bronte, Lipari, Mistretta, Petralia, Santo Stefano di Quisquina e Licata, concedendole invece per Cefalù, Nicosia, Corleone e Pantelleria”. Quindi c’è già una diversità di vedute fra il ministro e l’assessore. Ma non è finita.
Il braccio di ferro sulle deroghe
A questo punto inizia il braccio di ferro. È ottobre, il caso-Tutino ha già animato le cronache dell’estate e Lucia Borsellino ha lasciato gli uffici di piazza Ziino. Non solo: in aprile il cedimento del viadotto Himera ha spezzato in due la Sicilia, rendendo ancora più difficili i collegamenti interni, ad esempio sulle Madonie. In estate all’assessorato arriva Baldo Gucciardi, che l’1 ottobre prende carta e penna per “chiedere di riconsiderare” le deroghe. L’elenco è analogo a quello già rifiutato dal ministero, ad eccezione del punto di Mistretta che di fatto è già chiuso da tre anni. “Ufficialmente – dice Campo – non abbiamo ancora ricevuto riscontro a questa nuova richiesta”.
Il tempo, adesso, stringe. Perché il piano nazionale diventerà operativo il 31 dicembre, e quindi i giorni rimasti a disposizione non sono poi così tanti. Il ministro non fa mistero della possibilità di nuove deroghe: “Abbiamo istituito un comitato tecnico che sta valutando le proposte di criticità che ci sono state segnalate dalla Regione Siciliana”, ha detto l’esponente del governo Renzi lunedì. Fissando però qualche paletto: “La Regione deve garantire l’assistenza necessaria in caso di parto e quindi una presenza del pediatra 24 ore al giorno”.
Non è casuale, il riferimento del ministro. Non tutte le strutture più piccole sono adeguate agli standard nazionali, una circostanza sulla quale l’assessorato regionale alla Sanità non si nasconde: “L’assessore – assicura Campo – ha richiesto esplicitamente ai direttori generali di adeguarsi ai requisiti di sicurezza previsti dal piano del ministero. Ad esempio è chiaro che l’assistenza dev’essere garantita 24 ore su 24”. In attesa di una risposta: “Se non arrivasse – osserva Campo – la chiusura sarebbe automatica. La facoltà di concedere deroghe spetta solo al ministero”.
La Sicilia osservata speciale
Non è la prima volta, del resto, che il ministro Lorenzin punta gli occhi sulla Sicilia. E le chiusure dei punti nascita, in fondo, nascono proprio dalla più recente delle “attenzioni” riservate alla sanità siciliana: la bocciatura, arrivata un paio di mesi fa, del piano della rete sanitaria che Lucia Borsellino aveva varato a metà gennaio. Un piano che prevedeva appunto la chiusura dei punti nascita troppo piccoli, bocciato dal ministero per il “permanere dell’eccessiva frammentazione dell’offerta ospedaliera siciliana”. Una sconfessione arrivata fra l’altro dopo un parere negativo dell’Agenas, l’agenzia per la quale adesso lavora la stessa Borsellino. Ma questa è un’altra storia.
La bacchettata più pesante, però, era arrivata qualche mese prima. A scatenare l’ira del ministro era stata la morte a Catania della piccola Nicole. Che così il 13 febbraio, a Mattino Cinque, tuona contro la Sicilia: “Una cosa così non può e non deve accadere, viste le linee guida nazionali neonatali sulle urgenze che sono state sancite ormai da anni e che devono essere applicate dalle regioni”, dice annunciando l’invio di ispettori.
È appena l’inizio. Poche ore più tardi, una (rara) nota ufficiale del ministro rincara la dose: “Attendo il documento finale degli ispettori per assumere le decisioni e iniziative che competono al ministero e valutare se i livelli essenziali di assistenza siano correttamente erogati dalla Regione o se ricorrano elementi per un nuovo commissariamento”. Una sconfessione in piena regola. Circostanziata qualche giorno dopo in un question time alla Camera: in Sicilia c’è “l’assenza di un efficace sistema di governance per la sicurezza dei punti nascita e la mancata attuazione del protocollo relativo al trasporto in sicurezza”. Di più: “La Sicilia è una Regione sotto tutela, non assicura i livelli essenziali di assistenza”. Infine l’ultimo rilancio: la dichiarazione di inadempienza proprio sui punti nascita messa nero su bianco all’inizio di marzo, seguita da un fitto memorandum da seguire.
Borsellino e Crocetta, però, tengono duro. E mentre nelle retrovie si consumano scaramucce – l’intervento sulle prescrizioni giudicate “inutili” dal ministro, un sibillino avviso sul fondo sanitario che le Regioni “non possono usare come un bancomat” – l’esponente del governo Renzi molla la presa. Le bordate, in primavera e in estate, arrivano più dalla Corte dei Conti che da Roma. Gucciardi tratta, proclamando la sua gratitudine “al ministro Lorenzin per la sensibilità dimostrata”. Lo scontro sembra rinviato. Almeno fino al 31 dicembre.
AGGIORNAMENTO DEL 3 DICEMBRE
“La clinica GretterLucina non sarà costretta a chiudere”. Lo dice la clinica, replicando ai dati forniti dall’assessorato regionale alla Salute: “Le cliniche catanesi Gretter e Lucina – si legge in una nota – risultano ad oggi accorpate in un’unica struttura, GretterLucina per l’appunto, e non trattasi di due strutture distinte”. Alla luce dell’accorpamento, precisa la clinica, “il numero di nascite della clinica GretterLucina non è inferiore a 500 l’anno, bensì di circa 900 nascite annuali”.
Prendiamo atto delle precisazioni. I dati indicati nell’articolo sono quelli trasmessi dall’assessorato regionale alla Salute.