PALERMO – Aspra è dolce per il Dibba. Sul lungomare del borgo marinaro, a due passi da Bagheria, l’onorevole grillino passeggia allegramente cupo come fosse a casa sua, fa un po’ il piacione, mette in guardia i suoi: “Non abbiamo ancora vinto”. Quanto doveva essere aspra invece l’acciuga servita a Gigi. Al vicepresidente della Camera sfugge anche una smorfia mentre assaggia a favor di obiettivi una delle specialità del luogo offerta dai pescatori: “Ci aspetta una guerra” ammonisce.
Così simili, così diversi
Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista sono diversi e complementari come il silenzio e il rumore. Come le perfette coppie comiche, come un ideale duo “chitarra e voce”. Abbronzati e in forma invidiabile hanno chiuso ieri il tour-vacanza al fianco del candidato alla presidenza della Regione Giancarlo Cancelleri. D’accordo su un punto: “Se vinciamo in Sicilia ci prendiamo l’Italia”.
Ma la narrazione di questo snodo politico, che qualcuno nello staff grillino descrive come “il passaggio della cometa di Halley: se non vinciamo adesso chissà se capiterà mai”, tra il Dibba e Gigi cambia colori e toni, musica e parole. È l’ultima tappa di un tour elettrico (come il mezzo utilizzato per gli spostamenti) ed elettronico. Scandito dai selfie, dalle pose apparentemente spontanee, come le “paparazzate” a indulgenti vip in vacanza. “Ci credete perfetti, ma non lo siamo”, avrebbe sgombrato il campo dai dubbi, Dibba, dal palco di Termini Imerese pochi minuti dopo. “Ci trattate come divi, e non va bene: non saremmo niente senza di voi”, ammicca al pubblico.
Dibba lo “scaldafolle”
Qualcuno, tra i militanti grillini, lo definisce scherzosamente lo “scaldafolle”. Come quei gruppi musicali che hanno il compito di creare il clima giusto, prima dell’arrivo della star. Che è Di Maio, ovviamente, premier in pectore. E un po’ impettito, tra le strade di Sicilia.
“Cosa prendete?”, chiede la banconista di un bar di Aspra. “Un caffè, caffè per tutti” risponde Dibba. “Io solo un bicchier d’acqua”, interviene Gigi. È tutto lì. Tra i “possiamo fare un selfie?” e altri discorsi da bar. Dove Alessandro sembra a suo agio, manco fosse nato lì. E del resto, spiega al titolare: “Ho un sacco di amici a Casteldaccia”.
E sul lungomare, incendiato dal tramonto, è il Dibba che mette in guardia i suoi: “Qui il sistema clientelare venderà cara la pelle, qui partiranno i ricatti incrociati. È la prima volta che siamo così forti alle elezioni regionali. Ma se vinceremo, i primi mesi saranno durissimi, perché scardineremo un sistema di potere”. Poi uno sguardo al mare, “lì c’è Montepellegrino, vero? E dietro c’è Mondello, no?”. E Gigi? Resta ancorato a Giancarlo Cancelleri, più spinoso, meno immerso nella folla. Anzi, c’è un momento in cui sbotta, quando un cittadino si avvicina, fogli in mano, per denunciare una presunta ingiustizia: “Le sembra questo il momento? Mi mandi tutto per email”. E si allontana, verso il palco di Termini.
La mafia, i selfie, la piazza
“Che bello, siete così tanti”, dice Dibba. Ma la piazza non è né vuota, né piena. “Cosa volete ad agosto?” aveva detto poco prima, rintuzzando le critiche sollevate da qualche giornale. “Noi siamo gli unici che in piazza possono ancora andare”. Altra critica, in questi giorni, il silenzio sulla mafia. “Ma se parlo sempre di Cuffaro, intervistato come fosse uno statista… e se cito sempre Falcone che diceva di seguire i soldi della mafia…”. Ah ecco. Temi poi rilanciati dal palco di fronte allo splendido Duomo termitano. Da lì, ecco la raffica: Cuffaro, Mafia capitale, Alfano, l’immigrazione, Berlusconi, la Nuova camorra organizzata, i grossi gruppi editoriali, i banchieri. Alla fine di quel filotto un po’ arrabbiato e un po’ malinconico, viene da pensare: “Che schifo”. Anche se non si capisce bene perché.
E’ abbronzato, Dibba, un po’ dimagrito, stando alla valutazione di qualche signora tra la folla: “E’ fattu siccu”. Effetti del tour-vacanza lungo la Sicilia? Un giro raccontato, in perfetto stile pentastellato, sui social. Dove spunta la macchina elettrica dei tre, parcheggiata di fronte alla ben visibile insegna di una torrefazione, dove vengono immortalati gli stessi tre con un grembiule sul quale non può mancare il logo e il nome di una panetteria. E ancora, le foto da vacanza estiva, con lo sfondo delle Saline di Marsala, i Templi di Agrigento, la prova delle “coppole”, e qualche scatto su un trattore che ricorda Renato Pozzetto e il suo “ragazzo di campagna”.
Slogan e “battesimi” sul palco
Sul palco, invece, Dibba è tutto un piovere di slogan: “La trazzera di Caltavuturo è in salita? Anche in discesa, dipende da dove la guardi”, e ancora: “I politici riempivano i loro portafogli con le strade, noi facciamo le strade con i nostri portafogli”, e poi: “non siamo perfetti, ma umili”. E poi, ecco la proposta delle proposte: “Giancarlo, appena insediato, preparerà un provvedimento col quale aboliremo le auto blu e i vitalizi e dimezzeremo gli stipendi. Lo chiameremo ‘provvedimento suca’”. E giù gli applausi.
Perché Dibba ha riscaldato, eccome. Al punto che ai piedi del palco si alza la voce di una guardia giurata che ha perso il lavoro. Di Battista la fa salire sul proscenio. E gli argomenti non sono molto diversi: “Possibile che salvano i banchieri e non gli operai?”, “Bravoo” dalla folla. “Possibile che noi facciamo la fame e Renzi debba girare con la Lamborghini?” insiste la guardia grillina, sempre più gasata, “Bravooo” dal pubblico. “Rinnego la destra e la sinistra, sarò col Movimento finché morte non mi separi”, aggiunge sempre più in estasi. Al punto da chiedere a Dibba: “Imponimi le mani sul capo, battezzami”. E l’onorevole non si tira indietro: “Hai votato Berlusconi? Ego te absolvo. Adesso andate e moltiplicatevi, che ne abbiamo bisogno. E aiutatelo a scendere dal palco, che è quello è un voto”, scherza.
Il “freddo” Di Maio
Niente a che vedere con i toni usati dal Dioscuro scuro. Che non ti immagineresti mai a “battezzare” un militante, nè tantomeno a usare le parolacce. Non arriva al cuore come il Dibba, Gigi. E un po’, forse, soffre questa condizione. Al punto da provare a recuperare dal palco: “Sapete, mi hanno fermato e mi hanno detto: sei diverso rispetto a quando ti vediamo in tv. Dal vivo sei più simpatico. I media ci fanno sembrare quello che non siamo”. I media, ovviamente, tra gli argomenti che appaiono ormai un po’ logori e superati persino per qualche militante grillino, giù in piazza. E i toni di Di Maio sono un po’ più cupi, meno leggeri rispetto a quelli del “gemello diverso”. Più da elmetto e mimetica: “Da domani sarà una guerra senza quartiere. Cancelleri sarà un bersaglio mobile, dobbiamo difenderlo”. Scalda meno, Gigi. E così si rifugia sul terreno facile facile, quello per cui tutti e per sempre batteranno le mani: “Cancelleremo i vitalizi, le auto blu, dimezzeremo gli stipendi”, fotocopia dall’intervento del Dibba. Ma aggiunge: “Sarò io ad accompagnare Giancarlo alla Corte dei conti, dove porteremo i bilanci. E se ci saranno irregolarità, denunceremo tutti in Procura”. Poco importa se quel controllo viene compiuto ogni anno dalla Corte (si chiama giudizio di parifica) e se una Procura competente c’è già, ed è proprio quella contabile, che non a caso quest’anno ha chiesto l’irregolarità del bilancio regionale.
Il vitalizio che mette tutti d’accordo
Ma sotto il palco non interessa. Su quei temi non di discute: “Bravo, bravo, che schifo, che schifo”. E si chiude il tour, con la nota “rosa”: la compagna di Giancarlo Cancelleri sale sul palco, e il candidato alla presidenza ammette: “Senza di lei non ce l’avrei fatta”. Poi tutti sotto il gazebo. Dibba e Gigi si prestano ai selfie e lasciano autografi sulle magliettine col simbolo del Triscele. Della Sicilia. La cui vendita contribuisce al tour estivo Cinquestelle. Manco fosse il concerto rock del “duo” grillino. Che ha scelto in fondo di usare note più rassicuranti, meno estreme. Di parlare a tutti e di evitare di scontentare qualche possibile bacino elettorale. E che alla fine, per strappare l’applauso facile e sicuro a piazze non colme, hanno deciso di ricorrere ai classici del repertorio che fa felici tutti: “Il vitalizio, togliamo il vitalizio”. “Bravi, bravi, che schifo”.