WASHINGTON – Tutto pronto per le elezioni del nuovo presidente degli Stati Uniti. Gli elettori, da domani, martedì 5 novembre, saranno chiamati a scegliere tra Kamala Harris, 60 anni, attuale vice presidente, e l’ex presidente repubblicano Donald Trump, 78 anni. L’election day in molti casi inizierà alle ore 7, ora locale (tra le 13 e le 18 ora italiana, a seconda del fuso orario) e chiuderà alle 20.
Il sistema elettorale negli Stati Uniti è indiretto: non vincerà chi otterrà il maggior numero di voti dai cittadini, ma chi riuscirà ad ottenere 270 ‘grandi elettori’. Ciascuno Stato esprime un certo numero di grandi elettori, deciso in base alla sua popolazione. Il candidato che prende più voti in uno Stato, ottiene il sostegno dei suoi grandi elettori.
Il popolo americano sarà chiamato anche a votare per rinnovare i 435 seggi della Camera, dove il mandato dei deputati dura due anni, e un terzo del Senato – quest’anno 34 seggi – dove il mandato ne dura sei. Oltre alla Casa Bianca, dunque, in palio c’è la maggioranza al Congresso, che può facilitare o complicare la vita del prossimo presidente.
Perché si vota di martedì
Come ha stabilito il Congresso, nel 1845, si vota il martedì successivo al primo lunedì di novembre: fino ad allora ogni Stato poteva scegliere in autonomia quando andare alle urne, ma doveva avvenire nei 34 giorni precedenti al primo mercoledì di dicembre.
A metà dell’Ottocento gran parte dell’elettorato era composto da possidenti terrieri o agricoltori e viveva lontano dai seggi: per questo fu scelto un martedì – la domenica molti andavano a messa, il mercoledì era giorno di mercato e per arrivare ai seggi bisognava calcolare due giorni di viaggio – di novembre, evitando così la stagione della semina (primavera e inizio dell’estate) e del raccolto (fine estate e inizio dell’autunno), ma anticipando anche le rigide temperature dell’inverno che avrebbero potuto influire sull’affluenza.
Oggi il giorno delle elezioni è vacanza in diversi Stati, da New York al Montana, mentre altri obbligano i datori di lavoro a concedere un permesso pagato per recarsi alle urne. C’è chi chiede anche che diventi una vacanza federale, sia cioè festa in tutti i 50 Stati dell’Unione.
Il voto anticipato e per posta
Quando martedì apriranno i seggi, però, oltre 75 milioni di americani avranno già espresso la propria preferenza, in presenza o per corrispondenza: una modalità sempre più diffusa negli ultimi cicli elettorali.
Chi sono i grandi elettori
Gli elettori sulla scheda elettorale non troveranno i nomi dei due candidati, ma votandoli i cittadini non li eleggono direttamente, ma nomineranno invece dei “grandi elettori” scelti dai due partiti fra funzionari, sostenitori e politici locali che a loro volta eleggono il presidente.
Sono in totale 538, un numero pari alla somma dei senatori (100) e dei deputati (435) che compongono il Congresso, oltre ai tre rappresentanti del District of Columbia, dove si trova la capitale Washington. Il numero di grandi elettori assegnati da ogni Stato è stabilito in proporzione agli abitanti, con i più popolosi che hanno un peso maggiore: la California ne ha 54, i più piccoli come il Vermont 3. Per diventare presidente bisogna ottenere almeno 270 voti elettorali su 538.
Il candidato che vince il voto popolare nei singoli Stati ne ottiene tutti i voti elettorali, tranne che in Maine e in Nebraska dove alcuni voti sono attribuiti dai distretti: i grandi elettori non sono obbligati a votare per il candidato scelto dal voto popolare, ma i casi di «elettori infedeli» finora sono stati molto rari e mai decisivi. In ogni Stato quest’anno le dispute sul voto dovranno essere risolte entro l’11 dicembre, data ultima sancita a livello federale per assegnare i voti elettorali a uno dei due candidati.
Il 17 dicembre si riunisce quindi in ogni Stato il collegio elettorale degli Stati Uniti – ovvero tutti i grandi elettori – che voterà per eleggere formalmente il presidente. Entro il 25 dicembre i loro voti saranno quindi inviati al Senato, dove saranno contati in seduta comune dal nuovo Congresso il 6 gennaio, quando viene proclamato il nuovo presidente che presta poi giuramento e si insedia il 20 gennaio.
Cosa dicono i sondaggi
Dopo l’improvviso ingresso nella contesa elettorale, Harris ha generato grande entusiasmo fra i sostenitori democratici rassegnati a votare Biden e ha avuto un’impennata nei sondaggi che è andata avanti fino al dibattito del 10 settembre. Da allora i suoi numeri hanno cominciato a calare costantemente, e Trump ha recuperato.
La vicepresidente resta avanti di poco a livello nazionale, ma quello che conta è il voto dei sette Stati in bilico che decideranno l’elezione. Gli Stati in bilico sono: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin. In tutti e sette i candidati sono separati da pochissimi punti nelle medie dei sondaggi: fra 0,3 e 2,6 punti percentuali, ampiamente all’interno del margine di errore. In quasi ogni Stato, oltretutto, esistono sondaggi che danno vincente l’uno o l’altro, oppure segnalano un pareggio.
Quando sapremo i risultati
Per sapere chi sarà il prossimo presidente americano potrebbero volerci giorni, in particolare se la corsa sarà decisa da poche migliaia di voti come nel 2020, quanto Biden fu proclamato vincitore soltanto il sabato dopo l’assegnazione della Pennsylvania. La mattina successiva tutti e sette gli Stati in bilico non avevano ancora proclamato un vincitore. I ritardi del 2020 erano dovuti in particolare all’enorme molte di voti postali ricevuti – 65 milioni – e al fatto che molti Stati, fra cui la Pennsylvania, non permettevano ai funzionari il “pre-processing”, ovvero di controllare e predisporre le schede prima del giorno delle elezioni, per velocizzare il conteggio.
Quest’anno alcuni Stati – fra cui il Michigan – hanno cambiato le proprie leggi per permettere il pre-processing e velocizzare lo spoglio, ma se l’elezione si deciderà su un pugno di voti il processo potrebbe essere simile a quello del 2020. Nei sette Stati in bilico, i seggi chiudono fra le 7 e le 10 di sera americana, ovvero fra l’1 e le 4 del mattino italiano. I primi indizi sull’andamento delle presidenziali arriveranno dunque dalla Georgia all’1 italiana, poi dalla North Carolina all’1.30: se Harris dovesse andare bene in questi Stati, aumenterebbe le probabilità di vittoria, mentre se saranno saldamente in mano a Trump – come previsto – bisognerà attendere ancora per capire chi potrebbe vincere. Alle 2 di notte i seggi chiudono in Pennsylvania e in gran parte del Michigan; alle 3 in Wisconsin, in Arizona e nella parte settentrionale del Michigan; alle 4 in Nevada: la strada di Harris per la Casa Bianca passa soprattutto per i tre Stati del “blue wall” – Michigan, Wisconsin e Pennsylvania – che tuttavia sono quelli in cui lo spoglio avverrà più lentamente.