di LUCA TELESE (Il Fatto Quotidiano). So che qualcuno storcerà il naso, ma non me ne frega nulla, è un pensiero che voglio condividere con chi vorrà farlo. Non avrei mai pensato che avrei provato un incredibile sentimento di rispetto per Totò Cuffaro. Così come è stato un pericoloso fiancheggiatore della mafia, pasticcione, ambiguo, pericolosamente losco nella sua carriera politica, Cuffaro ha saputo trovare ieri una misura di grande dignità nel momento della condanna: “Accetto il verdetto, vado a costituirmi”.
C’era intorno a lui il suo staff in lacrime, c’era la consapevolezza di una grave malattia che affligge sua figlia, c’era la cannula di ossigeno che spesso lo insegue, e non è certo simulazione. Forse è vero che siamo mitridatizzati e assuefatti a tutto, forse è vero che sono giorni incredibili, ma la pacatezza con cui Cuffaro ha accettato la sua condanna senza contestare la sentenza e senza inveire contro i giudici, di questi tempi è un gesto eversivo.
So che in questo paese la cultura del nemico ha avvelenato ogni cosa. So che qualcuno si divertirà a gioire al pensiero di saperlo in carcere. Eppure io credo che proprio nel momento in cui scatta la pena, e l’accettazione della pena, sia necessario riconoscere che questo atteggiamento porta Cuffaro dieci spanne sopra quei politici che, accusati di reati apparentemente meno infamanti, contestano le istituzioni, accusano la magistratura di eversione, mettono in campo ogni mezzo pur di sottrarsi alla legge. Forse è proprio vero che la cultura democristiana, in Italia, malgrado la vertigine inquietante dei suoi lati oscuri, è diversa da quella eversiva dei piccoli autocratici che gridano al colpo di Stato, e intanto provano a metterlo in atto.