Dal grande guazzabuglio che emerge dall’inchiesta su Vito Nicastri e Paolo Arata, il Palazzo esce fuori maluccio. E questo sebbene i massimi vertici del potere regionale ci spieghino il contrario. Sia il presidente della Regione Nello Musumeci sia il presidente dell’Assemblea Gianfranco Micciché hanno posto l’accento sulla scarsa permeabilità della politica di fronte a richieste e sollecitazioni, il governatore ha insistito molto sui “no” ottenuti da Arata. Ma spingendosi un po’ più in là nel leggere i fatti che si vanno delineando su questa vicenda, quello che sembra emergere è ancora una volta il quadro di una politica non debole ma piuttosto marginale nella definizione degli affari milionari, per i quali i canali preferenziali dei faccendieri resterebbero i rapporti con i burocrati. Canali non solo preferiti ma più efficaci, visto che quando invece l’affarista di turno si muove per scomodare il politico, il gioco dell’oca delle pratiche si complica e a volte si inceppa.
E così, stando a quello che si va apprendendo, ai politici nel grande e oscuro regno delle pratiche sull’energia resta più che altro il compito di aprire qualche porta e fare qualche telefonata. Non è in fondo un caso che, bene ricordarlo, non ci sono politic indagati in questa storia. È altrove che si decidono gli “aggiustamenti”. Vito Nicastri questo lo sapeva bene. Il gip Guglielmo Nicastro parla, dopo le prime dichiarazioni del re dell’eolico, “di un patto corruttivo tutt’altro che isolato bensì collocabile in un’impressionante corruzione sistemica”. Un sistema in cui i personaggi centrali sarebbero stati burocrati, gli unici a potersi muovere con disinvoltura nel ginepraio delle astruse norme di settore tanto complesse da rappresentare l’humus perfetto per la corruzione e l’arbitrio. Nicastri avrebbe avuto in Giacomo Causarano il suo referente e il funzionario oltre a incassare, sempre secondo le accuse, avrebbe anche oliato gli ingranaggi pagando altri pubblici ufficiali per conto terzi. Fino a una decina d’anni fa, Nicastri si prendeva l’incomodo di andare personalmente in assessorato. Poi, fiutata l’aria, il re dell’eolico preferì non farsi vedere. Non c’era bisogno, d’altronde: gli incontri con Causarano, stando a quanto racconta l’imprenditore ai magistrati, si sarebbero svolti nelle sue aziende oppure in un distributore di benzina a Partinico. Volava basso, Nicastri. Più alto Arata, che interloquiva con i pezzi grossi della politica. Ieri, in commissione Antimafia, Gianfranco Micciché ha raccontato del suo contato con l’ex consulente della Lega e di come l’assessore Turano gli abbia poi consigliato di “levarci mano”. Cosa che Turano non fece con il collega Pierobon, lamenta quest’ultimo, che rivolge la madesima doglianza ai “suoi” dirigenti. Tra una ridda di smentite reciproche di politici e burocrati, la sensazione è che la politica venga fuori come poco più che un orpello in tutta questa storia, una sorta di extrema ratio a cui ricorrere in caso di necessità, incuneandosi in quegli spazi d’ombra, in quel sottile e a volte sfuggente confine tra il legittimo ascolto delle denunce di difficoltà di un imprenditore e il rischio di apparire “avvicinabile”. Un confine sfuggente che sarebbe opportuno, più volte lo abbiamo scritto, normare con regole chiare, che aiutino i politici animati da buone intenzioni a muoversi senza incappare in inciampi legati alla “doppia faccia” di qualche ardimentoso lobbista. Chiarezza, e trasparenza, il cui vento sembra faccia fatica ad entrare nelle stanze della Regione quando di energia si parla, malgrado per anni i governi abbiano cercato rassicuranti figure di prefetti e magistrati per gestire il delicatissimo assessorato, regno dei burocrati. Quelli che se la politica marca stretti rischia l’accusa di “indebita ingerenza”, se non lo fa allora “si volta dall’altra parte colpevolmente”. I faccendieri ringraziano.