Parla la moglie del pentito Sturiale, in esclusiva le dichiarazioni sul ruolo del figlio di Nitto…….
CATANIA- «Che Enzo fosse il capo lo sapevano tutti anche negli altri clan, almeno ai massimi livelli». Le parole di Palma Maria Biondi, moglie del pentito Eugenio Sturiale, riaccendono i riflettori sul ruolo di Vincenzo Salvatore Santapaola. Un ruolo già messo a fuoco dal pentito Santo La Causa lo scorso 18 maggio, ma che nella testimonianza raccolta ieri dal Pm Agata Santonocito si arricchisce di nuovi importanti riscontri. Perché quello che, secondo La Causa, era «un fantasma» per le famiglie palermitane, «un uomo impegnato a non farsi riconoscere da tutti i membri dell’organizzazione», risulterebbe invece «il capo riconosciuto, del cui rilievo erano al corrente anche i Cappello e i Laudani». L’attuale collaboratore di giustizia Eugenio Sturiale finì per transitare proprio in questi due clan, dopo l’addio ai Santapaola. «Ad intercedere per Eugenio, passato ai Cappello nel 2004, fu- spiega la Biondi- Antonino Santapaola, fratello di Nitto». La moglie di Sturiale collabora con la giustizia. La sua è una testimonianza di rilievo, su cui puntano i sostituti procuratori della DDA, Antonino Fanara e Agata Santonocito, per ricostruire l’organigramma di Cosa Nostra Etnea fino al 2010. «Anche dopo il passaggio ai Cappello- spiega- io continuavo a frequentare gente della famiglia, come Rita e Santina Rapisarda, moglie di Nino Santapaola». Sullo sfondo, quella che la signora definisce «la scissione tra i Santapaola- Ercolano e il gruppo di Nino Santapaola e i Mirabile». Con quest’ultimo si schierò Sturiale, che finì per contrapporsi nei primi anni duemila ai figli del boss ‘Nitto’. «Giovanni Colombrita, uomo dei Cappello, metteva in guardia mio marito quasi giornalmente», spiega ora la signora. «Noi abbiamo garantito per te, diceva spesso ad Eugenio. Ma stai attento, Enzo Santapaola ti vuole morto». Al punto che, da allora, Palma Maria Biondi prese a girare armata come il marito. Sull’organigramma di Cosa Nostra etnea la teste non ha dubbi: «Dal 2007, ancor prima della morte di Angelo Santapaola, i reggenti erano Vincenzo Aiello e Santo La Causa. Ma a comandarli erano Vincenzo Salvatore Santapaola e, dal carcere, Pippo Ercolano». Dinanzi alla quarta sezione penale del Tribunale di Catania, presieduta da Rosario Grasso, sono poi stati chiamati a deporre in video- conferenza Filippo Speziale e Liborio Di Dio, ex uomini d’onore della famiglia di Enna. Oggetto d’interesse dei sostituti della DDA è stata la posizione di un altro imputato, l’imprenditore edile di Regalbuto, Giuseppe Sandro Monaco. Proprietario di “Co.Str.A.” e di “Esse I Servizi industriali”, Monaco è stato, fino al 2010, tra i massimi protagonisti degli appalti pubblici in Sicilia nel circuito della “Lega delle Cooperative. Agli atti delle indagini preliminari ci sono decine di intercettazioni telefoniche e ambientali sul suo conto, al punto da aver fatto ipotizzare alla DDA etnea “un rapporto simbiotico con Cosa Nostra”. Il Pm Fanara ha cercato ieri di cogliere riscontri nelle dichiarazioni dei due teste, affiliati dal 2001 al 2003 al gruppo Di Dio. Proprio Liborio Di Dio, transitato come capodecina nella famiglia di Cosa Nostra ennese rappresentata da Gaetano Leonardo, ha parlato di un incontro con Monaco avvenuto a Regalbuto nel marzo 2001. Oggetto dell’appuntamento sarebbe stata la partecipazione della sua ditta alla gara per la realizzazione della condotta idrica di collegamento tra la diga Nicoletti e la Piana di Catania. «Monaco- è la versione di Di Dio- voleva lo stabbene per la partecipazione. Noi lo rassicurammo, non ci sarebbero stati ostacoli». L’ingegnere, oltretutto, si sarebbe “messo a disposizione”: «Un suo cugino era primario a Enna». Le difese ritengono insufficienti le dichiarazioni dei due pentiti, perché riferite a fatti estranei alla competenza di Cosa Nostra etnea. Ma anche la pubblica accusa puntava a riscontri sugli altri lavori di Monaco, primo tra tutti il progetto del parco tematico di Regalbuto. Perciò i PM hanno richiesto l’acquisizione dell’interrogatorio reso da Gaetano Leonardo presso la Procura di Caltanissetta in data 6 Luglio 2011.