PALERMO – Si sono presentati alla Biennale del cinema di Venezia. Hanno incassato gli applausi di una platea numerosa e attenta. Perché il carcere a vita non è la fine della vita. Così insegna l’esperienza di Roberto Cannavò e Giuseppe Ferlito, condannati all’ergastolo per omicidio. Hanno ottenuto il via libera, con un permesso premio, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Tribunale di sorveglianza per partecipare alla proiezione a Venezia, alla presenza del ministro della Giustizia Andrea Orlando, nella sezione Eventi speciali della Biennale, del docufilm “Spes contra spem – Liberi Dentro, realizzato da Ambrogio Crespi in collaborazione con “Nessuno tocchi Caino”.
Un lavoro frutto del dialogo e della riflessione comune di detenuti e operatori penitenziari del carcere di Opera (Milano) che raccoglie immagini e interviste di detenuti condannati all’ergastolo, del capo del Dap Santi Consolo, del direttore del penitenziario Giacinto Siciliano, di agenti della polizia penitenziaria, tra cui il comandante Amerigo Fusco.
Non è un caso allora che tra i protagonisti del docufilm ci sia Cannavò, killer del clan catanese dei Cursoti, come Ferlito, condannato per l’omicidio del poliziotto penitenziario Luigi Bodenza. Il delitto, commesso nel 1994, fu un macabro messaggio per le guardie carcerarie affinché trattassero bene i detenuti al 41 bis. “Dal documento emerge con chiarezza non solo un cambiamento interiore dei detenuti – spiegano da ‘Nessuno tocchi Caino’ – anche la rottura esplicita con il passato e una maggiore fiducia nelle istituzioni”.
Il carcere, dunque, può rendere possibile il cambiamento. “Il docufilm è stato un’occasione concreta – spiega Consolo – di confronto e dialogo su argomenti di civiltà giuridica come l’abolizione dell’ergastolo ostativo che è una pena di morte a vita”. Ostativo significa che il detenuto non può accedere a una serie di benefici, come il regime di semilibertà e la libertà condizionale, e godere di alcuni permessi. Benefici che vengono negati ai condannati per reati gravi. Secondo alcuni, e il dibattito è aperto, l’ergastolo ostativo spegne ogni speranza nel detenuto. Da qui la locuzione tanto cara ai radicali che dà il titolo al docufilm: spes contra spem, la speranza contro la speranza.