PALERMO – Dal caos misure di prevenzione emerge un errore. Un errore decisivo che sta alla base di uno dei più grossi sequestri eseguiti negli ultimi anni dalla sezione finita sotto inchiesta e azzerata.
Ruota attorno al concetto di “eredi di fatto” la bocciatura in Cassazione del sequestro Rappa. Un patrimonio da 800 milioni alla famiglia di imprenditori, il cui capostipite, Vincenzo, è morto a Palermo nel 2009, dopo essere stato condannato per mafia.
Secondo la Suprema corte – oggi si apprendono le motivazioni del provvedimento di metà dicembre scorso – per i sequestri (uno deciso il 24 marzo 2014, l’altro il 26 giugno dello stesso anno, quest’ultimo fuori tempo massimo) è stata utilizzata la nozione di “eredi di fatto”, fattispecie non prevista: eredi sono soltanto quelli indicati dal Codice civile. La decisione di annullare il provvedimento senza rinvio è della sesta sezione della Cassazione, presieduta da Francesco Ippolito. In piedi resta solo il filone che riguarda Filippo Rappa, figlio di Vincenzo ed erede diretto insieme agli altri due fratelli, Maurizio e Sergio. I nipoti, invece, non sono eredi, e scrivono i giudici della Cassazione, “deve escludersi alcuna interpretazione di tipo analogico, quale quella proposta dal Tribunale”.
E cioè dalla sezione Misure di Prevenzione allora presieduta da Silvana Saguto, oggi indagata e sospesa. Il là alle indagini della Procura di Caltanissetta arrivò proprio quando i finanzieri della Polizia tributaria misero il naso nella gestione della Nuova Sport Car, la concessionaria di macchine dei Rappa, affidata dalla Saguto a Walter Virga, giovane avvocato e figlio di Tommaso, presidente di una sezione del Tribunale di Palermo, pure lui sotto inchiesta e trasferito a Roma dal Csm. Tutti gli indagati hanno di recente ricevuto l’avviso di proroga per sei mesi delle indagini.
I beni dei Rappa – società, aziende, la televisione Trm, concessionarie di pubblicità e auto – restano, però, bloccati in virtù di un secondo decreto di sequestro. Il primo, quello annullato dalla Cassazione, era stato proposto dalla Direzione investigativa antimafia e aveva colpito i Rappa a cascata, in virtù della parentela con il nonno Vincenzo allo scadere del termine massimo di cinque anni dalla morte del capostipite. Visto che i nipoti di Vincenzo non erano tecnicamente eredi, il Tribunale, due mesi dopo e dunque oltre i cinque anni, ripropose il sequestro facendo ricorso alla formula “eredi di fatto”. La Cassazione boccia anche la tempistica del provvedimento: il quinquennio è un termine perentorio.
Nel febbraio 2015 la situazione si complicò. Arrivò, infatti, una nuova misura di prevenzione patrimoniale, stavolta proposta dalla Procura, che riguardava direttamente Filippo Rappa e i figli Vincenzo Corrado e Gabriele. Gli imprenditori venivano bollati come “socialmente pericolosi”. Pure per questo sequestro i difensori dei Rappa hanno chiesto il dissequestro al nuovo collegio delle Misure di prevenzione, presieduto da Giacomo Montalbano, che attende però l’esito di una perizia – dovrebbe essere pronta per marzo – che sta valutando se nel patrimonio Rappa siano stati immessi capitali mafiosi.
I difensori sono convinti che il dissequestro sancito dai supremi giudici non potrà che avere ricadute sull’intera vicenda giudiziaria, visto che si parte dalla valutazione “sbagliata” del Tribunale sulla eredità di fatto. Nel frattempo i finanzieri spulciano le carte di questa come di altre misure di prevenzione firmate dalla Saguto e all’ombra delle quali sarebbe stata costruita una catena di privilegi e favori, sfociati, a detta dell’accusa, in episodi di concussione e corruzione.