Europa, la ricetta-Draghi e il coraggio che serve alla Commissione

Europa, la ricetta-Draghi e il coraggio che serve alla Commissione

Il rapporto sulla competitività dell'Unione

Alcuni giorni fa il presidente Draghi ha presentato il suo Rapporto sulla competitività europea, alla presenza della Presidente della Commissione von der Leyen che gli aveva commissionato il lavoro un anno prima.

L’obiettivo dichiarato del piano Draghi è delineare una nuova strategia industriale per l’Europa, che consenta di aumentare la produttività e, in ultima analisi, continuare a finanziare “il nostro modello sociale”. Il messaggio che il mai troppo rimpianto ex-premier ha inteso suggerire è che l’Europa è in declino e che il mantenimento di uno stato di benessere collettivo, di cui ha goduto in questi ultimi decenni, è a rischio, a meno di uno scatto di orgoglio, frutto di una presa di coscienza collettiva. Si cambi o sarà un’agonia, ha detto testualmente Draghi.

Non è facile scorrere le 327 pagine che costituiscono il Rapporto, dense di dati e di contenuti. Ma alcuni punti cardine possono essere estratti. Provo a elencarli.

Tre le aree di intervento: Innovazione, Energia e Sicurezza.

L’Europa è rimasta indietro sul fronte dell’hi-tech, ha accumulato ritardi rispetto a Stati Uniti e Cina. Soltanto 4 delle prime 20 aziende tecnologiche globali sono europee. Gli investimenti in Ricerca e Sviluppo in Europa sono significativamente inferiori agli altri player mondiali e, soprattutto, è lacunoso il passaggio dalla ricerca e brevettazione alla crescita e allo scale-up di imprese innovative, che restano piccole e frammentate o, addirittura, trasferiscono la loro sede all’estero per godere di normative meno restrittive.

L’Europa è rimasta indietro sull’Intelligenza Artificiale, preoccupandosi più di regolamentarla che di svilupparla. Occorrono maggiori investimenti in R&S, con un maggior coordinamento tra i programmi europei e quelli dei singoli Stati membri. Occorre rendere più facile il passaggio dall’innovazione all’impresa e all’espansione delle aziende innovative di successo.

Sul fronte dell’Energia, la crescita dell’Europa è certamente ostacolata dagli elevati costi dell’energia, con le aziende che pagano l’elettricità molto di più dei competitor mondiali. Certamente la decarbonizzazione è una grande opportunità, con particolare riferimento alle energie rinnovabili, settore in cui però la Cina sta assumendo una posizione dominante, soprattutto sul solare. Anche qui sono necessari importanti investimenti mirati, che includano tutte le soluzioni disponibili per la produzione di energia, incluso il nucleare.

È necessario altresì che le decisioni vengano prese a livello centrale, con una vera Unione dell’Energia, che eviti anche pericolosi salti nel buio come è già avvenuto con il green deal ed il troppo repentino passaggio all’auto elettrica che sta provocando gravissimi problemi all’automotive in Europa.

Infine, la Sicurezza, che, dal punto di vista della crescita del sistema industriale e della sua competitività, significa essenzialmente la riduzione della dipendenza da altri Continenti. L’Europa è particolarmente esposta in questo senso, sia sulle materie prime critiche, che sulle importazioni di tecnologie digitali, a partire dai chip.

Draghi non può che auspicare una vera politica economica estera dell’UE, che crei, nel suo insieme, una leva di mercato forte ed autorevole e quindi renda l’Europa meno vulnerabile e più indipendente nelle sue scelte. Ma Sicurezza significa anche Difesa comune, per creare massa critica ed evitare sovrapposizioni e sprechi. Anche qui servono investimenti aggiuntivi di grande rilevanza, per rendere il sistema Difesa allineato agli standard tecnologici attuali.

Nel suo complesso, il rapporto Draghi contiene due concetti chiave, a mio avviso: maggiori investimenti, che non possono che portare alla decisione di un debito comune (come avvenuto ai tempi dell’emergenza pandemia) e – in strettissima connessione – politica unica europea sui temi cardine, dall’Innovazione alla Difesa, dall’Energia all’Economia. Draghi non parla esplicitamente di Stati Uniti d’Europa, ma il senso finale è quello. Un’Unione che abbia una politica unica su questi temi non è molto diversa, concettualmente e sostanzialmente, dagli Stati Uniti d’America.

Investimenti e politica unica, nella consapevolezza che, da solo, ciascun Paese europeo è un pigmeo rispetto ai giganti dello scenario geo-politico mondiale. Altrimenti sarà impossibile mantenere gli standard di benessere collettivo di cui l’Europa ha finora goduto.

Naturalmente, è subito iniziato il fuoco di fila degli attacchi, dai dubbi tedeschi sul debito comune ai veti dei cosiddetti Paesi frugali. In Italia, e non poteva essere diversamente, si è subito rinnovato l’asse giallo-verde: chi ha paventato pericoli per l’Italia in ogni riga del rapporto Draghi (gli stessi che proclamavano più Italia meno Europa), chi attribuisce a Draghi le colpe dello scenario preoccupante da lui stesso prospettato.

Vedremo. Vedremo se la nuova Commissione Europea ed il suo presidente, oggi certamente più forte di cinque anni fa, sapranno tenere la barra dritta e usare il Rapporto Draghi come bussola. O se, invece, l’Europa perderà anche questa occasione.


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