Eutanasia, appello su assoluzione presidente Exit Italia - Live Sicilia

Eutanasia, appello su assoluzione presidente Exit Italia

La Procura ricorre contro la sentenza che lo scorso novembre ha assolto Emilio Coveri

CATANIA – La Procura di Catania ha deciso di ricorrere in appello contro la sentenza di assoluzione per Emilio Coveri, presidente dell’associazione Exit Italia. Lo scorso 10 novembre la Gup Marina Rizza ha assolto Coveri a conclusione del processo col rito abbreviato per istigazione al suicidio, per il ricorso all’eutanasia nel 2019 in Svizzera di una 47enne della provincia etnea.

Le motivazioni dell’appello

Secondo l’accusa Coveri avrebbe “intrattenuto ininterrottamente dal 2017 al 2019” con la signora “plurimi rapporti e conversazioni telefoniche, via sms e posta elettronica” e avrebbe “indotto” la donna, che “soffriva di forme depressive e sindrome di Eagle, ad iscriversi nel 2018 all’associazione Exit”.

“Condotte – contestano il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e il sostituto Angelo Brugaletta – accompagnate da sollecitazioni e argomentazioni in ordine alla legittimità, anche etica, della scelta suicidaria”. In particolare, si sostiene nel ricorso, Coveri non si sarebbe “limitato a fornire, asetticamente ed in maniera neutra, informazioni” sul suicidio, ma “andava ben oltre, sconfinando in una condotta penalmente illecita”, “rafforzando e incrementando il labile ed assai incerto proposito suicidiario in itinere, ma non certo concreto e definitivo, vincendo, anzi coartando, le iniziali resistenze” della donna.

Lo avrebbe fatto, accusa la Procura, con “consigli, suggerimenti ed esortazioni” e, contestano i pm, con una “lenta e insistente opera di persuasione, volta a superare tutte le resistenze e le titubanze opposte” dalla 47enne. Un atteggiamento che la Procura di Catania ritiene sia stato “fondamentale e determinante per le scelte future” della donna.

Nel processo di primo grado davanti al Gup di Catania si erano costituite come parti civili la madre, la sorella e tre fratelli della 47enne. “La signora – ha sempre sostenuto Coveri che ha contestato tutte le accuse – era una nostra associata e le abbiamo semplicemente fornito, su sua richiesta, le informazioni che le servivano per prendere una decisione. Una procedura normale”.


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