Sette mosse per scappare dal carcere | Il film della fuga dell'ergastolano - Live Sicilia

Sette mosse per scappare dal carcere | Il film della fuga dell’ergastolano

di RICCARDO LO VERSO Un piano di fuga studiato nei minimi particolari. Gli inquirenti indagano su quali complicità abbia potuto contare all'esterno e all'interno del carcere Valentin Frrokaj, l'albanese evaso dal Pagliarelli. Potrebbe averlo aiutato una banda di connazionali. LA RICOSTRUZIONE GRAFICA DELLA FUGA

PALERMO – La fuga perfetta in sette mosse. Sette mosse per scappare dal carcere. Salendo sui tetti e scalando muri alti sette metri. Valentin Frrokaj, albanese di 36 anni, omicida ed ergastolano, giovedì pomeriggio è evaso dal carcere Pagliarelli di Palermo.

Due le condizioni necessarie. Grandi capacità atletiche – l’albanese non difettava certo per la forma fisica – e un vuoto nella vigilanza. Vuoto che ha raggiunto il culmine quando l’agente della polizia penitenziaria si è allontanato per un bisogno fisiologico durante l’ora d’aria del detenuto. Frrokaj deve avere studiato ogni abitudine degli addetti al controllo e ogni movimento nel penitenziario. Comprese distrazioni o inefficienze del sistema (“Al Pagliarelli manca il personale”, ha tuonato l’Osapp, il sindacato della polizia penitenziaria). Di certo c’è che l’ergastolano ha beffato tutti violando un carcere considerato il secondo per sicurezza in Italia. Il primo si trova a Parma. Anche da l’albanese era riuscito a scappare un anno fa. Evidentemente la sicurezza è un concetto relativo di fronte al detenuto Frrokaj.

Sette passaggi, dunque. Che ricostruiamo grazie alla mano del graphic designer Sergio Caminita.
Primo: la cella di Frrokaj ha una finestra che si affaccia sul cortile del passeggio. L’ora d’aria gli spetta dopo pranzo. Prima di uscire l’ergastolano lega la corda fatta con le lenzuola alle sbarre della finestra e la lascia cadere. Oppure la nasconde e la porta con sé. Pare indossasse un giubbino sopra la maglietta con le maniche corte.

Secondo: il detenuto passeggia nel cortile. Da solo, come sempre, visto che è sottoposto ad isolamento. Giorno e notte. Aspetta il momento propizio per dare il via al piano di fuga.

Terzo: il momento si presenta quando l’agente della polizia penitenziaria si allontana. Non è ancora chiaro per quanti minuti. Si sa solo che l’allarme scatterà alle quattordici. L’ergastolano ne approfitta e inizia a scalare il primo muro, sfruttando la corda che ha lasciato appesa alle sbarre della cella. Oppure, ipotesi meno probabile, si è costruito un arpione rudimentale.

Quarto: l’albanese si arrampica sul muro alto circa tre e metri e mezzo. E si ritrova sul tetto del cortile. L’altezza non è proibitiva. Salta giù e abbandona la prima corda.

Quinto: poche decine di metri più avanti c’è il muro di cinta. Una barriera alta sette metri. E liscia. È l’ostacolo più difficile verso la libertà. Deve scalarlo. Non ha altra scelta. Forse sale su un portone. Oppure usa come base d’appoggio una delle piccole costruzioni che costeggiano il muro. Riesce a raggiungere la cima. Per calarsi, lega la corda ad un faro dell’illuminazione. È il punto dove la ritroveranno gli agenti.

Sesto: la parte più difficile è archiviata. Gli restano da superare due cancellate. La prima è alta quasi quanto il muro di cinta. Il detenuto è senza corde. Si è arrampicato a mani nude, dunque. Per i comuni mortali sarebbe un’impresa titanica. Le sbarre che compongono la cancellata scoraggerebbero tutti alla sola vista. Tutti, ma non un uomo allenato e atletico come Frrokaj, che vuole lasciarsi alle spalle il fine pena mai.

Settimo: tre metri, forse meno, nulla sono per un detenuto ad un passo dalla libertà. Tanto misura l’inferriata gialla che divide il carcere Pagliarelli da viale Regione Siciliana. Che conquista, a dispetto del cartello che associa l’aggettivo invalicabile al limite che lo separa dalla libertà.

Fin qui il film della rocambolesca fuga. Una fuga che, però, dicono gli inquirenti, necessita di complicità interne ed esterne. Ci vuole qualcuno pronto a proteggerti una volta fuori. L’ipotesi a cui gli investigatori cercano conferme è che l’ergastolano possa essere stato aiutato da una banda. Frrokaj era stato trasferito a Palermo nell’agosto scorso dopo essere scappato, a febbraio, segando le sbarre di una cella del carcere di Parma. Anche allora si era servito di una corda fatta con le lenzuola. Fu rintracciato in un paesino della provincia milanese. Assieme a lui era fuggito anche Taulant Toma, un rapinatore di 29 anni, beccato poi in Belgio. Riuscì a fuggire anche dal penitenziario di Liegi. Toma sì che certamente ricevette l’aiuto di una banda. E per giunta armata, che fece saltare in aria con l’esplosivo il muro del carcere belga.

Come sarebbe riuscito, però, Frrokaj a mettersi in contatto con l’esterno? Nessuno lo ha incontrato a colloquio. Agli atti risultano sporadiche, e dunque al di sopra di ogni sospetto, telefonate con il suo avvocato. Era in regime di isolamento. Qualcuno sussurra appena la possibile spiegazione. La butta lì, ricordando vecchi precedenti di detenuti in possesso di telefoni cellulari. Solo ipotesi, però, su cui sono in corso le verifiche delegate dal pubblico ministero Caterina Malagoli ai carabinieri e al nucleo di polizia giudiziaria della polizia penitenziaria. Nel frattempo il provveditore delle carceri siciliane, Maurizio Veneziano, ha avviato un’indagine amministrativa.

Le piste investigative sono, però, due. C’è, infatti, anche quella che scava all’interno del penitenziario palermitano. La buona condotta aveva fatto scendere il livello di vigilanza sul detenuto, da massima a media. In ogni caso Frrokaj doveva essere guardato a vista durante l’ora d’aria. E qui si innesca il capitolo che riguarda l’assenza dell’agente di polizia penitenziaria. Si era allontanato per un bisogno fisiologico. In Procura stanno valutando di sentirlo. Sembra scontato che lo facciano. Corre il rischio di incriminazione per procurata evasione. Al di là del caso della guardia, ci sono mille altri dubbi. Che gli inquirenti riassumono in un interrogativo: come si può scappare, facendo l’uomo ragno e in pieno giorno, da un carcere di massima sicurezza senza essere visto? E le immagini? Non ci sarebbero filmati. Eppure dovrebbero esserci delle telecamere puntate sul muro di cinta. Nel frattempo la caccia prosegue. Sono già passate due notti e due giorni. E la cattura si fa sempre più complicata. In questi casi le prime ore di ricerca sono decivisive.

 

 


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