PALERMO – Mercoledì Matteo Renzi sarà in Sicilia. Troverà un partito dilaniato, con pezzi ormai dedicati a una sorta di “guerriglia politica” tanto da autodefinirsi partigiani. Con un segretario regionale che non si è nemmeno fatto vedere alla presentazione dei candidati alle Politiche presso la segreteria regionale, dove a fare gli onori di casa c’era non un esponente della segretaria siciliana ma il sottosegretario buon amico di Matteo, Davide Faraone. Ma anche con alcuni nuovi entrati, da Leoluca Orlando e i suoi, quelli che in anni abbastanza recenti sono stati gli arcinemici del Pd renziano a Palermo, fino a Dore Misuraca, già berlusconiano della prima ora, già alfaniano, ora dem di nuovo conio, benedetto ancora una volta dal segretario-ombra Davide Faraone e dallo stesso Orlando.
La vicenda politica di Misuraca e quella dei suoi recenti compagni di viaggio alfaniani è in fondo abbastanza emblematica del percorso politico che è in corso da un pezzo nel Paese e che vede protagonisti i due rivali di un tempo lontano, il Pd e Forza Italia. Che marciano, il primo più del secondo perché privo di un piano B, verso uno scenario di Partito della Nazione, il grande inciucio che tutti a parole negano ma che è sempre più nei fatti.
La vicenda degli alfaniani, in realtà, è una cartina di tornasole quanto mai efficace per fotografare questo processo. Accursio Sabella ha raccontato il fine settimana parallelo di Ciccio il forzista redivivo (Cascio) e di Dore il novissimo dem (Misuraca). Erano entrambi in quell’esperimento non riuscito benissimo che si chiamò Nuovo centrodestra prima e Alternativa popolare poi. Oggi si dividono nei due partiti che per vent’anni e passa si sono fatti la guerra (prima del Pd i suoi precedessori). Certo, per Cascio – alla cui kermesse s’è visto anche Nino Caleca, già assessore regionale nei governi di centrosinistra e frequentatore delle Leopoldine sicule – è un ritorno, per Misuraca un approdo, ma al di là della comoda retorica, in nessuno dei due casi si può con onestà intellettuale gridare all’incoerenza. Perché se ha in fondo una sua linearità il ritorno a casa di tanti ex Ndc-Ap,non è poi così bislacco come si vorrebbe far credere l’approdo nel Pd di altri. Oggi Misuraca, domani magari Beatrice Lorenzin, che ha attrezzato una lista centrista alleata dei dem con scarse speranze di successo ma che potrebbe rientrare in Parlamento se vincerà il suo collegio uninominale. D’altronde Misuraca e Lorenzin per tutta la legislatura sono stati alleati del Partito democratico sostenendo i governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Proprio come altri alfaniani che last minute invece hanno ricordato le loro radici di centrodestra.
In realtà, il fatto che un dirigente alfaniano possa optare per il Pd o per Forza Italia senza troppi problemi, è una spia alquanto significativa del percorso di avvicinamento dei due partiti. Percorso che ha visto più “mobile” probabilmente il Pd renziano. Che in questi anni si è riempito di vecchi pezzi di centrodestra, in una trasformazione che è ancora in corso e probabilmente proseguirà. Basta guardare ai nomi nelle liste del 4 marzo (leggi l’articolo). Una mutazione che in Sicilia è anche più evidente che altrove e che promette di proseguire con l’ingresso in blocco, sempre più nell’aria, di Sicilia Futura dentro il partito. Insomma, in parole povere, oggi il Pd è uno sbocco considerato abbastanza naturale per chi solo cinque o sei anni fa si sarebbe definito senza esitazione di centrodestra.
La chiave è quella della contrapposizione ai populisti. “Qualcuno poco tempo fa temeva la vittoria in Francia della Le Pen: le stesse persone oggi sembrano non vedere i rischi di un governo con Salvini o del M5s, che sono peggio della Le Pen. Quella è una prospettiva terribile”. Così sabato Davide Faraone. Inchiodato dai sondaggi a cifre lontanissime da una possibile vittoria, al Pd non resta che sperare nella vittoria di nessuno che potrebbe aprire le porte a un’altra stagione di grosse koalition con Forza Italia.
Resta però una controindicazione. E cioè che Forza Italia il 4 marzo si presenta in coalizione proprio con quei populisti che per Faraone sono “peggio della Le Pen”. E se Berlusconi e gli alleati in quest’ultimo miglio di campagna elettorale riusciranno a costruire i numeri di una vittoria autosufficiente, a Renzi e ai suoi fedelissimi che si sono presi il partito resterà il cerino acceso in mano. E Misuraca.