Famà e il suo insegnamento |La lotta per il giusto processo - Live Sicilia

Famà e il suo insegnamento |La lotta per il giusto processo

Intervista a Enrico Trantino, presidente della Camera Penale di Catania.

L'anniversario
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CATANIA – Il 9 novembre 1995 è stato ucciso un avvocato. Un pezzo fondante della macchina della giustizia: il tutore del diritto di difesa. Serafino Famà aveva trasformato la scelta di indossare la toga in una scelta di vita. Non si è mai piegato, mai. Solo le pallottole hanno potuto. La sua storia e i suoi insegnamenti però non sono stati cancellati da quell’azione vile della mafia.

Serafino Famà è fonte d’ispirazione dei penalisti catanesi. Le sue parole, le sue risate, la sua risolutezza e la sua instancabile forza sono molte volte le protagoniste delle attese al Tribunale di Catania. Tra l’inizio di un processo e gli intervalli di un’udienza molti ricordano l’avvocato Famà. Annedoti indimenticabili e – da chi lo ha conosciuto – anche rimproveri. Chi vive molte ore nel Palazzo di Giustizia ha imparato a conoscere Serafino Famà dai racconti degli avvocati, dei cancellieri, dei pm e anche dei giudici.

A Serafino Famà è dedicata la Camera penale di Catania, guidata dall’avvocato Enrico Trantino. Il Presidente ripesca nella memoria e rivive quel tragico giorno di venti anni fa.

Presidente, ha conosciuto personalmente Serafino Famà?

Serafino Famà fu il primo collaboratore di mio padre. La sua presenza è quindi inevitabilmente legata alla mia infanzia e a tanti altri episodi vissuti da bambino.

Cosa ricorda di quel giorno di venti anni fa? Come ha saputo dell’omicidio?

Mi trovavo al campo di San Gregorio ad allenarmi con la mia squadra di rugby. Vidi giungere una macchina a tutta velocità. La riconobbi subito come quella di mia sorella. Comprensibilmente preoccupato corsi verso di lei che, con le lacrime agli occhi, mi disse “hanno sparato a zio Serafino. Si trova al Garibaldi”. Mi recai di fretta all’ospedale giungendo in contemporanea al collega Francesco Strano e alla moglie dell’avvocato Famà, la signora Vittoria. Ci comunicarono che Serafino giaceva all’obitorio. Cominciarono così due giorni vissuti con tanta intensità e commozione da ogni “protagonista” del tribunale. Avvocati, magistrati, personale di cancelleria, insieme stretti per una perdita che apparteneva a tutti.

Quale è il grande insegnamento di Serafino Famà al mondo forense?

Una visione ideale della Giustizia, alla cui realizzazione dobbiamo tutti concorrere, esigendo il rispetto delle regole e senza mai deflettere dai propri doveri etici e deontologici.

L’evento commemorativo che avete organizzato per l’anniversario quali obiettivi si prefigge oltre a quello della memoria?

La memoria per noi non è dimensione retorica. E’ testimonianza di un modo di intendere la professione da tramandare ai più giovani colleghi; è esempio di rettitudine da trasferire alla società civile, troppo spesso ignara del ruolo dell’avvocato, malevolmente visto come l’ostacolo all’affermazione della giustizia. Noi, grazie anche alla storia dell’avv. Famà e al lavoro culturale compiuto dalle Camere Penali, cerchiamo di far capire che costituiamo invece un baluardo a difesa dei diritti e, quindi, della società; mai a difesa del reato. E’ facile cadere nella tentazione di credere taluno colpevole solo per la gravità di quel che viene contestato o per il cognome che porta. Noi cerchiamo di far comprendere che – come troppo spesso capita – in ogni imputato si nasconde una possibile vittima di errore giudiziario.

L’avvocatura vive un momento difficile: attacchi su tanti fronti?

E’ il processo penale a vivere un momento difficile. Sempre più attacco di insensate riforme che ne snaturano l’essenza rendendolo privo di regole certe, sembra più uno strumento per garantire carriere che per accertare responsabilità (quello che recentemente è accaduto nel processo per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio, con una prova confezionata a uso televisivo per generare un’attesa sociale di condanna ne è un drammatico segno). Di riflesso l’avvocato vive una condizione di disorientamento per essere privo di certezze a cui affidarsi. Il vero problema è che da troppo tempo la politica, abdicando al suo ruolo, decide nel senso voluto dalla gente (spesso ignara di codici e leggi), senza provare a orientarne le scelte mediante una corretta opera d’informazione.

Secondo lei, l’avvocato Famà come avrebbe affrontato gli attacchi?

Come li ha sempre affrontati. Senza lamentarsi sterilmente ma cercando di individuare soluzioni e battendosi per divulgare il messaggio del giusto processo. Altrimenti, meglio la legge della giungla.


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