Faraone: "Sanità siciliana, una presa in giro. Tre punti per cambiare tutto"

Faraone: “Sanità siciliana, una presa in giro. Tre punti per cambiare tutto”

Il renziano: "Bisogna fare cadere il governo e tornare alle urne"

PALERMO – “Bisogna far cadere questo governo e riportare alle urne quei 7 siciliani su 10 che non votano più, perché non si fidano, non credono, non sperano. E sulla sanità ci sono tre punti per cambiare tutto”. Davide Faraone, vicepresidente di Italia Viva, traccia le tappe, dalla visuale dell’opposizione, per creare l’alternativa al centrodestra. Lo fa, rispondendo a dieci domande. L’intervista.

Sanità in Sicilia, la Regione vara nuove regole per i manager: cosa ne pensa?
“Siamo davanti all’ennesima presa in giro. Si parla di svolta, di trasparenza, di competenza, ma il sistema resta identico: i notabili decidono. Cambiano i nomi delle commissioni, non il meccanismo. Oggi tutti si accaniscono contro Cuffaro per le nomine in sanità, come se fosse un corpo estraneo piovuto dal cielo. Ma a quel tavolo c’erano tutti i partiti del centrodestra. E al capotavola non c’era Cuffaro: c’era Schifani. Noi li denunciavamo questi metodi, mentre accadevano, non adesso che è intervenuta la magistratura. Schifani oggi prova a scaricare tutto sulla Dc, come se fosse l’unica responsabile di un sistema che invece è condiviso, praticato e rivendicato da tutta la maggioranza. Ma se davvero considera quel metodo ‘deplorevole’, allora il primo ad andare a casa dovrebbe essere lui”.

Le modifiche nella selezione dei manager possono determinare una inversione di tendenza?
“No, i manager hanno un marchio politico, un riferimento preciso. E quelli attuali sono ancora tutti lì, nonostante risultati pessimi sotto gli occhi di chiunque, perché i padrini li proteggono. Non conta se i cittadini ricevono cure all’altezza. Conta solo se rispondi agli ordini del politico che ti ha messo lì. Il risultato è noto: liste d’attesa che esplodono, reparti che chiudono, conti che non tornano. E cittadini costretti a scappare fuori regione per curarsi. Basta ipocrisie. Se Schifani volesse davvero cambiare pagina, rinuncerebbe al controllo politico sulle nomine, introdurrebbe obiettivi vincolanti e valutazioni indipendenti, e accetterebbe che chi fallisce venga mandato a casa, senza guardare la tessera. Ma se facesse questo non sarebbe Schifani. E se al centrodestra togli l’uso clientelare della sanità, smette di vincere le elezioni. Mission impossible, con questi qui. Non mi fido di loro”.

Nuovo percorso operatorio: chi ha fatto gli esami ‘scavalca ‘chi non li ha fatti. Cosa pensa delle linee guida di Faraoni?
“Se Schifani è un disastro, Faraoni è il vice-disastro. Tavoli, annunci e riformette servono solo ad allungare il brodo e a far finta di governare il problema. Servono investimenti e una vera rivoluzione, non proposte buone per qualche titolo di giornale. Va rivista profondamente la spesa: gli sprechi sono enormi, il sistema delle gare è marcio. I reparti si aprono e si chiudono non sulla base di valutazioni funzionali o dei bisogni di salute, ma in base a ciò che porta voti ai notabili. Così non si governa la sanità: la si usa”.

Il nuovo percorso operatorio abbatterà le liste d’attesa?
“No, perché non affronta il tema vero. Il problema è banale, quasi imbarazzante nella sua semplicità: non ci sono medici, non ci sono infermieri. Finché i medici verranno spostati come pedine per tenere aperti reparti scoperti, a partire dai pronto soccorso che altrimenti chiuderebbero, le liste d’attesa resteranno lì, immobili, come un monumento nazionale all’ipocrisia. La sanità funziona per vasi comunicanti: se uno si rompe, affondano tutti. Il territorio non fa eccezione: pochi medici di famiglia, pochi pediatri. Le Case della salute, quando nascono, sono scatole vuote. Bellissime da inaugurare, inutili da usare. E sulla prevenzione, che dovrebbe evitare il disastro, investiamo appena il 5% della spesa sanitaria”.

Elemento cruciale sono i convenzionati esterni, il loro budget quest’anno è stato stabilito a dicembre.
“Altre regioni in Italia intervengono sugli sprechi e laddove serve mettono risorse proprie, decidono consapevolmente di coprire i maggiori costi delle prestazioni specialistiche convenzionate visto che le tariffe non si aggiornano da anni e l’inflazione cresce. In Sicilia, invece, la Regione non mette un euro. Zero. Si limita a prendere atto dei tetti di spesa, li definisce tardivamente e poi scarica tutto sui cittadini e sui convenzionati esterni, che dovrebbero garantire continuità assistenziale senza sapere con quali risorse. Questo accade perché siamo ancora formalmente in piano di rientro dopo diciotto anni nonostante Schifani dica che abbiamo i conti in ordine. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: si sta facendo fallire il tessuto imprenditoriale sanitario siciliano. È legittimo pensare che non sia un caso se, mentre i nostri operatori vengono strangolati, si preparano spazi per grandi gruppi del Nord. E fa sorridere amaramente che tutto questo venga gestito da chi si presenta come ‘tecnico’. L’assessore Faraoni non è un tecnico neutrale: è espressione politica della Lega, cioè di quella cultura politica che al Sud ha sempre guardato come a un mercato da conquistare, non come a un sistema da far crescere”.

Il presidente Schifani, nella discussione prima del voto in cui ha ottenuto la fiducia, ha accusato le opposizioni di non aver mai fatto proposte di riforma. Come cambierebbe la sanità in tre punti?
“Primo. Aprire un confronto col governo nazionale per interrompere la finzione del piano di rientro. Diciotto anni dopo siamo ancora lì, ufficialmente in ordine, realmente paralizzati. Finché la Sicilia resta formalmente in piano di rientro, la Regione non può investire risorse proprie come fanno le altre. Per questo serve una visione di sistema. Basta interventi frammentati e risposte emergenziali. Servono reti assistenziali vere e percorsi di cura definiti, che mettano in relazione ospedali, territorio e sanità privata convenzionata all’interno di un unico sistema pubblico, governato da regole chiare e da obiettivi comuni”.

Secondo?
“Un’integrazione reale tra sanità e sociale. Separare cure sanitarie e sostegno sociale è oggi un grave errore strutturale. La Sicilia continua a pagare la frammentazione tra assessorati distinti che non dialogano tra loro. A farne le spese sono anziani, persone fragili e famiglie, schiacciati da ostacoli burocratici, rimpalli di competenze e risposte parziali a bisogni complessi”.

Infine?
“Terzo. Riorganizzare sul serio la rete ospedaliera con il coraggio di decidere. Eliminare i doppioni inutili, quelli che esistono solo per tenere in piedi un campanile o una promessa elettorale. E, allo stesso tempo, moltiplicare le eccellenze. Chiudere ciò che non serve, rafforzare ciò su cui vale la pena investire. Vanno migliorate concretamente le condizioni di lavoro negli ospedali, prevedendo incentivi economici adeguati, percorsi di carriera e tutele organizzative, per evitare la fuga dei professionisti dalla sanità pubblica, che oggi rischia di impoverire irreversibilmente il sistema. Una centrale unica appaltante regionale. Una sola. Trasparente. Tracciabile. Per abbattere gli sprechi, per togliere ossigeno alla corruzione”.

Come dovrebbe essere selezionato, secondo lei, il prossimo candidato presidente dell’opposizione?
“O si trova un nome di rottura, uno che però sappia governare davvero capace di tenere insieme la coalizione senza fare da notaio agli equilibri interni. Uno che abbia soprattutto una qualità oggi rarissima: riportare alle urne una parte di quei 7 siciliani su 10 che non votano più, perché non si fidano, non credono, non sperano. Oppure si fa una cosa semplice, antica e rivoluzionaria: si chiede ai cittadini di scegliere, con primarie vere, aperte, contendibili”.

Il perimetro del campo largo dovrebbe comprendere anche Cateno De Luca?
“Quando capirò cosa ha in testa De Luca potrò rispondere a questa domanda. Ad ora non ce l’ho chiaro e secondo me soprattutto non ce l’ha chiaro lui”.

Quali dovrebbero essere, secondo lei, le prossime tappe della coalizione di opposizione?
“Intanto una cosa semplice, quasi elementare: far cadere questo governo. Non per sport, non per vendetta, ma perché più resta lì e più danni fa. È un governo che consuma tempo, risorse e fiducia: ogni giorno in più è un giorno perso. In parallelo, però, senza alibi e senza scorciatoie, lavorare a un programma comune. Pochi punti, chiari, qualificanti. Non un libro dei sogni, ma un patto di realtà. Quelle poche cose che, se fatte, cambiano davvero la vita delle persone”.

Una cosa da fare subito in Sicilia
“Non farsi scappare le risorse del Pnrr. Dei 16,05 miliardi di euro complessivamente destinati territorio siciliano, ne risultano pagati 5,25 miliardi (32,72%) e rendicontati 1,27 miliardi (7,91%). In altri termini, quasi tre quarti dei fondi non risultano ancora erogati. Un altro disastro del centrodestra in Sicilia. Abbiamo poco tempo, 2026 si chiude e non ci saranno proroghe”.


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