Lui stesso lo definisce “l’ultimo atto”. Stamane Giovanni Felice, ex presidente di Confesercenti Palermo, ha salutato la stampa dopo aver rassegnato le sue dimissioni da presidente regionale e dopo il commissariamento della federazione provinciale da lui presieduta. Punta il dito sulla federazione catanese, sulle presunte infiltrazioni mafiose nell’associazione etnea e ritiene che il suo siluramento sia legato all’aver toccato interessi più grandi di lui.
Felice ha voluto dire la sua, cercando di spiegare i motivi di una repentina caduta che, nel giro di due mesi, lo ha visto uscire dall’associazione di categoria dopo una militanza decennale. Lo ha fatto affidandosi a un ricostruzione cronologica dei fatti a partire da quando, nel novembre 2010, sono uscite sulla stampa le notizie a proposito di una intercettazione che vedeva coinvolti il presunto capomafia di Paternò, Rosario Di Dio, e il direttore generale di Confesercenti Catania, Salvo Politino.
Un fatto che Felice ha ritenuto grave sin dalle prime battute ma che ha associato a incidenti di percorso che possono capitare a chi si interfaccia giornalmente con i commercianti. Le cose si sarebbero complicate quando un sito, “qtsicilia“, ha attaccato Confesercenti Catania, oltre che per le “relazioni pericolose” di Politino, anche per una presunta estorsione ai danni di un associato di cui viene pubblicata la lettera di protesta. Felice sostiene che ha sempre indicato che la via era quella di difendersi in sede giudiziaria contro le accuse lanciate, ma, invece, alla testata sarà inviata una semplice replica. Del caso, quindi, Felice investe la giunta nazionale e, documentandosi su quanto effettivamente Di Dio e Politino si dicevano, si rende conto di una situazione grave e la denuncia, convocando un’assemblea e ponendo il “caso Catania” all’ordine del giorno.
Ma, invece, in quella stessa assemblea non si discute del “caso Catania” ma della sfiducia allo stesso Felice, per cui erano già state raccolte le firme. Una riunione di fuoco in cui Felice contesta che i voti decisivi a metterlo in minoranza siano arrivati via fax. Ciò nonostante Felice decide di dimettersi ma, raccoglie i documenti, e si presenta in procura. Ci sarebbero strani movimenti bancari nel conto della Confesercenti. I soldi indirizzati alla federazione provinciale catanese vengono versati in tre conti diversi, di cui oltre 89 mila euro finiscono in un conto personale di Politino. Siamo negli ultimi giorni del 2011.
A gennaio a Palermo vengono inviati gli ispettori dalla direzione nazionale, su richiesta della giunta regionale per una verifica sulla “regolarità amministrativa”. Ed evidenziano: “L’utilizzo sproporzionato di personale in Confesercenti e soprattutto in maniera irrazionale nella società di servizi (la Se.a.ter. srl, ndr), in considerazione delle pochissime contabilità e pratiche di lavoro trattate”. Le conseguenze sono: “Il declino dell’associazione e della società, l’incremento continuo del saldo debitorio, gli omessi pagamenti nei confronti di enti, personale dipendente, fornitori ed altri e le notevoli perdite d’esercizio subite”. Valori “antieconomici” secondo gli ispettori che segnalano come fra i 9 addetti alla Se.a.ter. c’è lo stesso Giovanni Felice (assunto nell’ottobre 2010) e l’onorevole Faraone in aspettativa. La perdita è stimata in 166.101 euro (3 volte il capitale sociale), i debiti in 600 mila euro, i crediti in 435.029 euro (di cui esigibili meno del 50 per cento secondo lo stesso Felice) e 200 mila euro nei confronti dell’erario e degli istituti previdenziali. Tutto senza considerare interessi e sanzioni. A questi dati si aggiungono prelevamenti in contanti dal conto corrente della Confesercenti Palermo per 13-15 mila euro al mese. Una situazione “grave e pericolosa” che ha portato al commissariamento e alla sostituzione di Giovanni Felice con l’avvocato.
Felice si difende: “Abbiamo spiegato agli osservatori come avremmo ripianato i debiti” dice mostrando i bilanci della provinciale di Palermo che “produce avanzi di gestione. Nel 2010 ha prodotto utili per 24 mila euro, nel 2011 supererà i centomila euro di utili, dal 2012 produrrà almeno sessantamila euro di avanzo di gestione”. Quanto alla Seater, Felice afferma di essere “orgoglioso di avere fatto l’errore di aver tentato di salvaguardare i posti di lavoro” perché risanarla “significava licenziare il personale”. In ogni caso la società è stata posta in liquidazione e, in più, “è una srl, risponde per il capitale versato. La scelta di pagare tutti i debiti è una scelta volontaria che, sotto la mia guida, avrebbe potuto permettersi”. Quanto ai prelievi di denaro mensile, Felice giustifica il fatto adducendo che, come da statuto, il 25 per cento del fatturato “può essere speso in attività sul territorio”, ovvero dare una mano a chi, volontariamente, apre un Caf, un patronato. “Queste associazioni di volontariato non emettono fattura”.
Infine lancia il suo dardo in direzione Catania. “Io non credo che Di Dio avesse bisogno di un credito di 30 mila euro, ma era un modo per dimostrare il potere”. Il riferimento, affatto celato, è a Salvo Politino. Secondo Felice, infatti, fra i beneficiari delle intermediazioni per il credito di Confesercenti Catania ci sia anche il presunto capomafia di paternò. “Non capisco perché se si scopre un caso di presunta infiltrazione mafiosa alla Confesercenti di Catania, si procede, invece, come un buldozer, su Palermo”. E alla domanda del motivo per cui sarebbe stato fatto fuori, Felice risponde candidamente di non averlo ancora ben capito. Ma una giustificazione la abozza: “Ho toccato interessi più grandi di me”.