ROMA – Luci accese sul red carpet della nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma: da ieri e fino al 25 ottobre tutte le sale dell’Auditorium Parco della Musica sono a disposizione della kermesse con oltre quattromila posti a sedere. La serata inaugurale, affidata alla proiezione di “Soap Opera” – la nuova commedia di Alessandro Genovesi – ha visto sfilare sull’ambito tappeto rosso i protagonisti del cinema e della fiction di casa nostra e non, come Fabio De Luigi, Elisa Sedanoiu, Cristiana Capotondi, Ricky Memphis, Diego Abatantuono, Ale & Franz, Valeria Marini, Sergio Castellitto, Giorgio Pasotti, Caterina Guzzanti e tanti altri ancora, tutti capitanati da Nicoletta Romanoff, madrina della manifestazione.
Attesissime, a chiusura del Festival, le pellicole targate made in Sicily: “Biagio” di Pasquale Scimeca con Marcello Mazzarella programmato per il 24 ottobre e in gara per la sezione “Cinema d’Oggi” e infine “Andiamo a quel paese” di e con Salvatore Ficarra e Valentino Picone.
La selezione ufficiale del festival è formata da quattro linee di programma: “Cinema d’Oggi” che ospita i film di autori sia affermati che giovani, “Gala” presenta una selezione di pellicole popolari ma originali della nuova stagione, “Mondo Genere” accoglie i film appartenenti ai più diversi generi cinematografici, “Prospettive Italia” dedica l’attenzione alle nuove linee di tendenza del cinema nazionale di fiction e documentaristico. Infine, sezione autonoma e parallela, “Alice nella città”, organizza – secondo un regolamento proprio – una rassegna di film per ragazzi.
Rispetto (e a dispetto) alla commedia firmata da Alessandro Genovesi, caratterizzata dalla leggerezza e accolta dal pubblico in sala tra applausi e qualche fischio, il cinema più impegnato ha visto, certamente, la proiezione di “Wir sind jung. Wir sind stark” (We Are Young. We are Strong), per la sezione Cinema d’Oggi, di Bhuran Qurbani. Quest’ultimo, classe 1980 – nato da genitori afgani arrivati in Germania come rifugiati politici – per la realizzazione della sua seconda opera, si è attorniato di un cast artistico e tecnico giovane e ciò nonostante è indubbio che nulla sia stato fallimentare. Qurbani, con il suo lungometraggio, porta sul grande schermo gli accadimenti che, solo tre anni dopo la caduta del muro di Berlino, hanno infiammato di xenofobia la Germania del ’92. A Rostock, nell’agosto di quell’anno, presero letteralmente fuoco i moti neonazisti che sconvolsero l’intero Paese: proteste, sciacallaggi, violenze inaudite contro gli immigrati richiedenti asilo che divamparono nella famosa “notte del fuoco”, quando migliaia di neonazisti incendiarono un centro di accoglienza che ospitava centinaia di rifugiati vietnamiti.
Il regista segue insistentemente Stefan (Jonas Nay) e i suoi amici, giovani e annoiati, arrabbiati e forti che si credono padroni del territorio e del pensiero di un’intera società, cresciuti a pane e Hitler, non per niente intimoriti di battersi con la polizia perché consapevoli che la politica prende sottogamba il problema. Una politica rappresentata da Martin (Devid Striesow), padre di Stefan, in bilico tra ideali da perseguire, carriera da coltivare e doveri di padre.
Bhuran Qurbani divide la pellicola in capitoli orari e con un crescendo cromatico – dal bianco e nero arriva al colore – scandisce i momenti che, con ansia partecipata, arrivano alla notte degli scontri in cui, odio, rabbia, sopraffazione, rancore, collera, ira, diventano luce tanto da rimanere tangibili e vivi e segnare così una pagina della storia tedesca, mondiale.
Notevole la resa cinematografica che si serve di piani sequenza, dolly e indispensabili dettagli, tutti impreziositi dalla fotografia di Yoshi Heimrath.
“Wir sind jung. Wir sind stark” è certamente segno di una libera maturità tradotta in fotogrammi: è il coraggio di saper guardare il marcio del proprio passato soprattutto quando questo si avvicina alle paure e alle inquietudini di oggi che non hanno né razza, né colore.