Forza Italia, il dossier sulla gestione Miccichè: tutti i nodi - Live Sicilia

Forza Italia, il dossier sulla gestione Miccichè: tutti i nodi

Si attende un segnale da Roma.
IL RETROSCENA
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PALERMO – “Il disagio della maggioranza dei componenti del gruppo Ars di Forza Italia, sette deputati, tre assessori regionali, in aggiunta al presidente emerito del Senato Renato Schifani, discende da una gestione del partito in Sicilia che ha assunto, purtroppo, caratteri personalistici da un lato, ondivaghi e confusionari dall’altro”. L’incipit del dossier siciliano, consegnato brevi manu dalla frangia ostile al coordinatore azzurro Gianfranco Miccichè alla senatrice Licia Ronzulli alla vigilia della riunione di venerdì, è di per sé abbastanza eloquente. E dice tanto sulla reazione della fazione filomusumeciana che al termine del vertice prende le distanze e torna a chiedere la testa del coordinatore azzurro. 

Il documento consegnato a Ronzulli

Ma andiamo con ordine. Alla vigilia dell’infuocata riunione di venerdì, gli azzurri di rito “ortodosso” consegnano alla senatrice Ronzulli, ambasciatrice arrivata in terra sicula per mettere fine alle liti intestine nel partito, un documento in cui si mette nero su bianco il malessere di una parte di Forza Italia. Nel mirino dei congiurati c’è la mala gestio del coordinatore Gianfranco Miccichè. Punto per punto, nel documento, si elencano i nervi scoperti. In primis: “l’assenza di spirito collegiale”. Le accuse fanno il paio con quelle che recentemente ha esternato anche il presidente della Regione Nello Musumeci: favorire l’opposizione logorando la maggioranza di governo attraverso dichiarazioni pubbliche.   “Ultimamente abbiamo dovuto assistere a una costante declinazione pubblica di candidature, o autocandidature, alla presidenza della Regione che hanno contribuito a logorare la maggioranza e l’intero mondo del centrodestra siciliano. Le prese di posizione dirompenti – e spesso incoerenti fra loro – su argomenti delicati, mai concordate con nessuno, hanno creato un clima di smarrimento e disorientamento non solo nella classe dirigente, ma soprattutto nel nostro elettorato”. 

Le critiche

I frondisti (che però preferiscono essere appellati come ortodossi) elencano l’emorragia di classe dirigente che ha segnato gli anni della gestione del partito targata Miccichè: “Un parlamentare europeo, tre parlamentari nazionali, sei parlamentari regionali, sindaci di primo piano come quello del Comune di Catania, a cui si sono aggiunti gli abbandoni dei candidati primi, secondi e terzi dei non eletti alle Regionali 2017 in tutte le province. Sono addii che determinano un saldo negativo stimato in oltre 140mila voti”. Pallottoliere alla mano, per i malpancisti gli addii equivalgono a qualcosa come 7 punti percentuali. Poi l’affondo. “Ma l’aspetto che causa sempre crescenti difficoltà a tutta Forza Italia è l’ostinato lavorio – quotidianamente ostentato sui giornali e dinanzi alle telecamere – su strampalate geometrie variabili e giochi di palazzo con la sponda compiacente di Pd e M5s”, si legge nel dossier dei malpancisti che tornano a criticare la decisione di azzerare le Commissioni, privando il partito di tre presidenti. 

L’affaire capogruppo

Last but not least l’affaire capogruppo. Falcone e company ribadiscono la legittimità dell’elezione di Caputo e lamentano la mancata convocazione da parte di Calderone per “consentire l’insediamento del nuovo capogruppo”. Da qui la richiesta (inascoltata) di riorganizzare il partito in Sicilia. Insomma, dietro alla dura presa di posizione di venerdì sera c’è questo amaro retroscena. La sintesi dopo nove ore di riunione non solo non arriva ma il coordinatore annuncia in pompa magna l’ingresso nel gruppo degli ex renzini Tamajo e D’Agostino. Uno schiaffo che brucia ancora, al netto della mancata presa di posizione della senatrice Ronzulli che avallerebbe in toto (anche in chiave nazionale) la linea filosalviniana del coordinatore azzurro che gioca ormai da tempo di sponda con la Lega. To be continued. 


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