"Tanto il giudice me la s..." | Invece arrivano pene severe

“Tanto il giudice me la s…” | Invece arrivano pene severe

Via Marchese Pensabene, allo Zen

Due pregiudicati fermati allo Zen insultano i poliziotti e scappano. Nessuna attenuante.

PALERMO – Alla fine il giudice che avrebbe dovuto “sucargliela” – passi la volgarità, ma sono parole degli imputati – li ha condannati a pene severe: tre anni e otto mesi per Salvatore Bonura e tre anni per Antonino Mazza. Erano accusati di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale.

Più che un processo è lo spaccato di una fetta di città riottosa alle regole e alla legalità. “In quella aperta disfida vi era il senso estremo, compiuto e simbologico del conflitto tra chi stava amministrando la legge su un territorio – scrive il giudice Lorenzo Matassa nella motivazione della condanna – e chi, invece, doveva dimostrare, a tutti i presenti, di essere più forte della legge”.

La “disfida” nel settembre 2015 vide contrapporsi due pregiudicati e altrettanti poliziotti per le strade dello Zen, ma sarebbe potuto accadere – è già avvenuto – in altri quartieri di Palermo.

Gli agenti fermarono ad un posto di blocco i due imputati in sella ad uno scooter. Erano le 12:50, in via Marchese Pensabene. L’Honda Sh era privo del contrassegno dell’assicurazione. Quando Mazza, 44 anni, con precedenti penali, capì che gli stavano sequestrando lo scooter, sciorinò il suo repertorio: “Secchio di immondizia, adesso ti do due pugni e ti gonfio la faccia, togliti la divisa che ti faccio vedere io pezzo di merda; ora che mi sequestri questa moto prendo l’altra moto che ho in garage, una Bmw Gs e appena ti vedo ti metto sotto e ti ammazzo”. Ed ancora: “Tu sei un padre di famiglia? Pure a te ti ammazzo… tanto pure che mi denunciate, io pago gli avvocati e i giudici in tribunale me la sucano”.

Bonura, 28 anni, pure lui con precedenti penali, rincarò la dose: “Siete due pezzi di merda non servite a niente tanto prima o poi vi incontro per strada senza divisa e vi faccio vedere io cosa vi faccio…”.

In pochi istanti la strada si riempì di persone. Non erano lì solo per curiosare, ma anche per per proteggere i due fermati. “Può dirsi fatto notorio che il quartiere dello Zen infatti – scrive il giudice – costituisce una specie di ‘enclave’ sociale a parte dove la criminalità organizzata ha strutturato i suoi apparati ed in cui si vive una vera e propria situazione di sorveglianza permanente finalizzata alla perpetuazione di ogni illecito traffico. Per tale motivo gli agenti chiedevano l’intervento di altre volanti”. Troppo tardi, Mazza e Bonura si erano già dileguati. Furono denunciati a piede libero.

E si è arrivati al giorno del processo. I difensori dei due imputati hanno chiesto l’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato” e in subordine la pena minima con il riconoscimento di ogni possibile attenuante. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna ad un anno ciascuno di carcere, ma il giudice è andato oltre: “Venendo alla quantificazione della pena non deve sottacersi che il fatto assume estrema gravità perché si colloca in quello scenario, oramai sempre più virulento, della cosiddetta criminalità diffusa e, a Palermo, dell’atteggiamento sprezzante ed offensivo consumato ai danni di chi solo fa il suo dovere rischiando la vita per dare ordine e controllo sul territorio. La pena, pertanto, non può e non deve essere mite ma proporzionata alla gravità del fatto in termini di allarme sociale e, quindi, in funzione general-preventiva”.

 


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