RIPOSTO – Il danneggiamento di una delle telecamere esterne al cantiere di via De Maio a Riposto, in cui erano in corso i lavori di ristrutturazione del Museo del Vino, ha dato il via, nel maggio del 2015, all’attività investigativa sfociata poche settimane dopo nell’arresto in flagranza, per concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso, di Gaetano Di Fato, funzionario dell’ufficio tecnico comunale ripostese, e di Giuseppe D’Agata, più noto con il nome di Don Pippo. Entrambi gli imputati, assistiti dai legali Attilio Floresta ed Enzo Iofrida, erano presenti. Primo testimone dell’accusa il tenente dei carabinieri Stefano Russo, comandante dell’Aliquota Operativa della Compagnia di Giarre. Su richiesta del pubblico ministero Fabrizio Aliotta, titolare delle indagini, l’ufficiale dell’Arma ha ricostruito passo dopo passo, davanti ai giudici della prima sezione penale del tribunale di Catania, presieduta da Roberto Passalacqua, tutte le fasi dell’inchiesta.
Non sarebbe stato l’imprenditore Gaetano Debole, costituitosi parte civile nel processo, a sporgere denuncia dopo che ignoti avevano messo fuori uso la telecamera. Gli stessi carabinieri avrebbero convocato in Caserma l’imprenditore per chiedergli i motivi per i quali non avesse denunciato l’episodio. Da lì sarebbe iniziata l’attività tecnica, con intercettazioni telefoniche ed ambientali. A rendere inutilizzabile quella telecamera, puntata su un parcheggio, sarebbero stati presumibilmente alcuni pusher della zona, timorosi che quell’occhio elettronico potesse mettere a rischio l’attività. Ma dalle intercettazioni avviate sarebbe emersa, poco dopo, la disponibilità da parte di uno degli imputati, il funzionario comunale Gaetano Di Fato, di mettere a disposizione dell’imprenditore un uomo per la cosiddetta guardiania. L’uomo indicato sarebbe stato Giuseppe D’Agata, residente a pochi metri dal cantiere. Di lì a poco una nuova richiesta avrebbe raggiunto Gaetano Debole. Di Fato, così ha detto in aula il teste, avrebbe chiesto la somma di 350 euro, l’assunzione di due operai e quella di D’Agata per la guardiania. “Intercettazioni molto chiare”, ha sottolineato il tenente Russo. in cui Di Fato avrebbe chiesto a Debole la somma di 350 euro l’assunzione di due operai e di D’Agata per la guardiania. Infine l’arresto in flagranza dei due imputati, il 25 maggio del 2015, in piazza del Commercio a Riposto, sul lungomare. Arresti scattati dopo la consegna del denaro. Intanto entro la fine di maggio saranno depositate le trascrizioni di quattro intercettazioni, telefoniche ed ambientali, captate tra Gaetano Di Fato e la presunta vittima Gaetano Debole, imprenditore impegnato nei lavori di ristrutturazione del Museo del Vino. A chiederle il legale Attilio Floresta. Nella prossima udienza, fissata per il 6 giugno, verranno sentiti i militari dell’Arma che seguirono materialmente tutte le fasi precedenti l’arresto.