PALERMO – Per decenni sarebbe stato un insospettabile imprenditore. In realtà Giovanni Palazzolo avrebbe avuto Cosa Nostra come alleato nella sua scalata. Passa la ricostruzione della Procura di Palermo. Nei giorni scorsi Palazzolo è stato condannato a 16 anni e 10 mesi di carcere per associazione mafiosa e istigazione alla corruzione di un finanziere.
La condanna arriva poco dopo che all’imputato, 70 anni, originario di Carini, la Dia ha sequestrato beni che valgono 2,5 milioni di euro: case, terreni e il 50 per cento di un’impresa di costruzioni. L’imprenditore lavora nei settori dell’edilizia, della logistica e della ristorazione. Ad aprile 2024 fu coinvolto nel blitz denominazione ‘Nemesi’.
L’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dal sostituto Giovanni Antoci (che ha sostenuto l’accusa al processo), sul fondatore della Gls di Carini (la società non è coinvolta nel sequestro) nasceva dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonino Pipitone e Gaspare Pulizzi. Per anni sono stato co-reggenti della famiglia mafiosa di Carini che fa parte del mandamento palermitano di San Lorenzo.
“Giovanni c’ha i soldi della famiglia”, ha spiegato Pulizzi, precisando che l’imprenditore e il boss Vincenzo Pipitone erano soci occulti in una operazione che avrebbe consentito al capomafia di investire in una serie di attività edilizie, tra cui la costruzione di alcune palazzine. Antonino Pipitone ha aggiunto che Palazzolo in passato aveva corrotto funzionari del Comune per consentire una serie di lottizzazioni.
All’inizio Palazzolo si sarebbe occupato di estorsioni: “Un giorno Giovanni Palazzolo parla con me e con Nino Pipitone – ha messo a verbale Pulizzi nel lontano 2008 – dice ma all’Ordine dei medici gli hanno fatto un segnale, non mi ricordo che cosa gli hanno messo, un segnale o hanno bruciato qualcosa”.
L’ordine dei Lo Piccolo, incontrastati boss di San Lorenzo, fu “che se la sbrigava Palazzolo e i soldi ce li faceva avere a noi… la messa a posto fu 30 mila euro”. La vittima sarebbe stato un imprenditore della provincia di Messina.
Le intercettazioni
A partire dal 2021 Palazzolo è finito sotto intercettazione della Direzione investigativa antimafia. Temeva che i pentiti potessero fare il suo nome. Aveva paura di una eventuale collaborazione con la giustizia del boss Freddy Gallina, estradato in Italia dagli Usa.
“Io mi scanto (ho paura ndr)”, diceva non sapendo di essere intercettato. “Appena io sbaglio cado, siccome loro non hanno niente da perdere perché ormai quello che avevano da perdere l’hanno perso. Ho mandato mio fratello e gli ho detto ‘gli devi dire che non mi devono cercare’”, continuava facendo capire di aver voluto interrompere i rapporti con i clan per timore dell’arresto.
Il rifugio per il boss Lo Piccolo
Pipitone ha riferito che Palazzolo avrebbe trovato un rifugio sicuro a Salvatore Lo Piccolo. Circostanza confermata dallo stesso Palazzolo intercettato: “… ma anzi quello come è che non ci ha consumati all’epoca (diceva riferendosi al pentito Pipitone ndr). Lui è stato qui, Lo Piccolo… me lo hanno chiesto a me questa cortesia… io quando l’ho conosciuto io, lui era… faceva il cameriere da questo Nino Spatola lì a Tommaso Natale…”.
Un riferimento anche al figlio di Salvatore Lo Piccolo, Sandro, all’ergastolo come il padre: “Suo figlio… aprivano Dom Perignon qua nella piazza a Terrasini, Rolex, cose, buttane…“.
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Il Tribunale del riesame aveva riqualificato l’iniziale contestazione di associazione mafiosa in concorso esterno. La quarta sezione del Tribunale, preceduta da Bruno Fasciana, ha accolto l’iniziale ricostruzione del pm Antoci.
L’istigazione alla corruzione riguarderebbe il finanziarie Umberto Frecentese, originario di Casamarciano, in provincia di Napoli, e in servizio a Palermo. Avrebbe rivelato all’imprenditore informazioni coperte dal segreto istruttorio dei colleghi di Modena. Avrebbe pure concordato con Palazzolo il contenuto di un’informativa che lo riguardava in cambio della promessa di posti di lavoro.

