Giudice, avvocato e "prestanome" | Dall'Amia agli affari con i boss - Live Sicilia

Giudice, avvocato e “prestanome” | Dall’Amia agli affari con i boss

Tommaso Scanio, indagato dal pm di Caltanissetta, è un uomo dai mille volti. Tutti gli indagati.

PALERMO –  Avvocato di un mafioso che divenne pentito, vice procuratore onorario, consulente dell’Amia e ora presunto prestanome di un boss. Tommaso Scanio è un uomo dai mille volti.

Il suo nome compare nelle carte dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Cesare Lupo, capomafia di Brancaccio, del fratello Antonino, condannato in primo grado per droga, e Salvatore Gambino. Scanio è indagato per intestazione fittizia e reimpiego di capitali illeciti, con l’aggravante di avere commesso i reati per favorire Cosa nostra. L’inchiesta dei finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria, guidati dal colonnello Saverio Angiulli, è stata trasferita da Palermo a Caltanissetta proprio per la presenza di Scanio che negli anni scorsi ha fatto il vice procuratore onorario nel capoluogo siciliano. I Vpo sono avvocati chiamati in servizio a prestazione per smaltire l’arretrato della giustizia. Fu, però, sottoposto ad un procedimento disciplinare.

Di lui Livesicilia si è occupato in più occasioni. Nell’aprile 2017 Scanio fu assolto nel merito al processo le spese pazze dell’Amia, l’ex azienda per i rifiuti di Palermo di cui era consulente. Fra il 2005 e il 2007 furono sperperati quasi 720 mila euro.

Nel 2012 qualcuno mise della colla Attak nella serratura della porta di casa dell’avvocato, in corso dei Mille, e lasciò un biglietto. C’erano delle frasi minacciose e un invito a restituire dei soldi. In quel periodo Scanio era il leader della “Fenice società cooperativa”, nata con l’intento di occuparsi di rifiuti. Ed è proprio nella Fenice che Scanio sarebbe stato, secondo la nuova accusa, intestatario fittizio per conto dei Lupo che vi avrebbero investito 40 mila euro frutto degli affari sporchi della mafia. Scanio in un’intervista al nostro quotidiano si disse preoccupato per l’intimidazione, ma escluse che ci fosse un collegamento con la coop.

Con la mafia, seppure indirettamente, Scanio aveva avuto a che fare quando nel 2011 difendeva Fabio Tranchina, boss di Brancaccio poi divenuto collaboratore di giustizia, dando assieme a Gaspare Spatuzza un contributo alle nuove indagini sulla strage di via D’Amelio. Fu Scanio a raccontare di presunte pressioni subite da Tranchina per convincerlo a collaborare. Dopo 48 ore di ripensamento Tranchina confermò la scelta di tagliare il cordone che lo legava a Cosa nostra, lui che aveva iniziato facendo l’autista a Giuseppe Graviano.

Per Scanio, così come per altre persone, il giudice per le indagini preliminari ha respintola richiesta di misura cautelare, ma restano tutti indagati. Si tratta di Salvatore Alvares, Salvatore Cannatella, Luigi Chiavetta, Vito Ferrante, Giuseppe Lo Iacono, GIovanni Matranga, Santo Zennaro.


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