"È il capomafia di Brancaccio" | Cesare Lupo condannato a 30 anni - Live Sicilia

“È il capomafia di Brancaccio” | Cesare Lupo condannato a 30 anni

L'imputato Cesare Lupo

È di nuovo in cella dal 2011, quando le indagini della Squadra mobile lo piazzarono nel triumvirato che detterebbe legge a Brancaccio, feudo dei fratelli Graviano. La condanna decisa in continuazione con altre subite in passato.

PROCESSO A PALERMO
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PALERMO – Trent’anni di carcere in continuazione. La condanna è pesante. Specie se, come nel caso di Cesare Lupo, si devono scontare al 41 bis con l’accusa di essere uno dei capimafia di Brancaccio. Oltre a lui, su richiesta del pubblico ministero Francesca Mazzocco, il Tribunale ha condannato a due anni, pena sospesa, Andrea Doria, un imprenditore edile che ha negato di avere subito le estorsioni. La sentenza del Tribunale e’ stata emessa dopo oltre sei ore di camera di consiglio. La condanna e’ in continuazione con le altre quattro riportate in passato. Lupo ha già scontato 17 anni e mezzo. Questo significa, conti alla mano, che in virtù del processo di oggi, gli restano da trascorrere in carcere altri dodici anni e mezzo, sempre che la pena diventi definitiva.

Lupo in carcere c’e’ tornato nel 2011, quando le indagini della sezione Criminalità organizzata della Squadra mobile lo piazzarono assieme ad Antonino Sacco e Giuseppe Faraone nel triumvirato alle dipendenze del capo mandamento Giuseppe Arduino, l’uomo incaricato di gestire il patrimonio dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. La sorella Nunzia da Roma avrebbe controllato che tutto andasse per il verso giusto.

Mentre scontava una prima condanna per mafia nel carcere di Catanzaro, Lupo trovò tempo e voglia di laurearsi in Scienze giuridiche. Titolo della tesi: “Le estorsioni”. Una volta finita di scontare la pena, nel 2009, sarebbe tornato a dirigere il clan che ha proprio nel racket una delle principali fonti di guadagno.

La centrale operativa di Lupo si trovava nel suo luogo di lavoro, l’Az trasporti di via Cappello. Lì incontrava gli affiliati e dettava gli ordini per le estorsioni. Nel febbraio 2011 Giulio Caporrimo, reggente del clan di San Lorenzo, decise di convocare il gotha della mafia palermitana a Villa Pensabene, noto ristorante-maneggio allo Zen. L’obiettivo era serrare le file di un’organizzazione fiaccata dagli arresti.  E Lupo non poteva mancare all’appuntamento. Vi arrivò insieme Sacco e Arduino, che sono già stati condannati. Ora è toccato a Lupo, le cui imprese di trasporti sarebbero state anche il centro di raccolta dei soldi che andavano consegnati a Nunzia Graviano.

E così quando saltava una riscossione Lupo andava su tutte le furie. “Ha fatto un poco di bile”, diceva Girolamo Celesia parlando di Giuseppe Arduino. “Di bile, perché? Matteo (Scroma ndr) non ci deve dare niente? – chiedeva Lupo -. Ci vogliono 5.000 euro, io avevo l’appuntamento, dove li devo andare a prendere 5.000 euro?… gli dici, scusate, lui ha l’appuntamento, oggi, glielo ha detto, che ci deve fare avere a quelli la a… ci deve fare avere cinquemila euro… che sono soldi di quelli, loro si tengono i soldi… i soldi dei cristiani non se li devono tenere in tasca, si ci danno subito”. Arduino: “Se io arrivo… se io arrivo prima e me ne vado… se io li capito… e me ne vado, gli ho detto, perché io …li, devo portare tutta questa sera ai cristiani…io li devo portare tutta questa sera ai cristiani… con almeno diecimila euro… magari magari non mi porterei assai, magari diecimila euro, giusto è?”.

Nell’aprile scorso Lupo fu protagonista di un espiodio insolito nel clichè di Cosa nostra. Assisteva in silenzio e annotava in un taccuiono, collegato in videoconferenza nella saletta del carcere di L’Aquila, le dichiarazioni di Chiavetta: “Lupo mi ha chiesto il pizzo dal 1992. Prima, 500 mila lire al mese e cinque milioni a Pasqua e Natale. Poi, sono diventati 500 euro mensili e 5 mila per le festività”. Al termine della deposizione Lupo chiese di fare dichiarazioni spontanee. Era un fiume in piena: “Eravamo amici. Come fratelli. Chiavetta lo sa qual è la verità. Se la faccia dire signor presidente. Mi ha chiesto di comprare un laboratorio all’asta assieme e io gli ho dato i soldi. Eravamo in società e non ho mai ricevuto un euro da lui. Mi ha truffato. Si è venduto il bar e non mi ha dato niente. Si è fatto i soldi e non mi ha dato mai una lira. Andavamo a mangiare assieme. Dica la verità, altrimenti la verità la dico io. E di cose da dire ne ho altre”.

Il Tribunale sulla vicenda deve avere dato ceduto alla sua tesi, visto che per l’estorsione a Chiavetta è stato assolto. Il difensore di Lupo, l’avvocato Giovanni Castronovo, annuncia rciorso in appello. Aveva sempre sostenuto che fosse difficile se non impossibile credere alla tesi che Lupo fosse l’estorsore di Chiavetta, visto “il rapporto fra vittima e carnefice”. Il legale aveva giocato all’ultima udienza anche la carta delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Li Causi che, pur avendo fatto parte della cosca di Brancaccio, aveva detto di non conoscere Lupo, quello che l’accusa sostiene essere stato il suo capo. Un’accusa che, però, ha retto in pieno e che si basava su una raffica di intercettazioni e sulle dichiarazioni di altri pentiti. Sono, invece, cadute, oltre a quella ai danni di Chiavetta, altre quattro ipotesi di estorsione, l’accusa di essere il capo di un’associazione che trafficava droga, e alcune intestazioni fittizie di beni.


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