PALERMO – “Vorremmo che finalmente in Sicilia emergessero i semplici e i normali. E ciò potrà accadere solo spezzando alcuni meccanismi consolidati che non hanno favorito la crescita”. Nei giorni scorsi, il presidente di Sicindustria Giuseppe Catanzaro ha presentato al presidente della Regione Nello Musumeci un documento “nato per dare voce alle piccole, medie e grandi imprese dell’Isola”. E dall’incontro è andato via portando con sé una buona impressione: “Il governatore ha scelto la strada della sobrietà. È un buon segnale: quello è l’unico modo per concentrarsi sulle cose da fare per la Sicilia…”
… che stando al vostro documento sono veramente tante, da interventi normativi a nuove regole per la pubblica amministrazione…
“… certo, ma sempre nel rispetto del primato della politica. Noi con quel documento intendiamo offrire al governo e all’Ars – sia alla maggioranza che alle altre forze – una serie di considerazioni e possibili soluzioni. Ma non ci limiteremo a questo documento”.
Vale a dire?
“Stiamo già lavorando ad alcuni approfondimenti tematici che metteremo a disposizione delle istituzioni”.
Nel documento parlate della necessità di interventi di natura normativa, legislativa. Ci vuole fare qualche esempio? Quali sono gli ostacoli per le imprese da questo punto di vista?
“Di esempi ne posso fare più di uno. Pensi ad esempio al ritardo nell’approvazione di un testo unico per l’edilizia: per anni, la Penisola e la Sicilia sono andate a due velocità diverse. Ma aggiungerei anche altri esempi: penso al Testo unico per le Attività produttive, rimasto in commissione per mesi e mai approdato a Sala d’Ercole. O ancora, i quattro disegni di legge per la regolamentazione dell’Industria del Turismo, anche quelli, come gli altri nati nella scorsa legislatura, rimasti sepolti nelle commissioni e mai esitati”.
Pensa che col nuovo governo e la nuova Assemblea si possano sbloccare queste situazioni? Che impressione ha avuto dal colloquio con l’esecutivo regionale?
“Il presidente Musumeci nel corso delle dichiarazioni programmatiche all’Ars ha già tracciato alcune linee che abbiamo molto apprezzato. Così come abbiamo apprezzato l’approccio alle questioni: il governatore sta muovendosi con grande sobrietà. Proprio ciò di cui la Sicilia ha bisogno. Devo dire che anche dopo gli incontri con alcuni assessori come Armao, Grasso, Turano, Pappalardo e Lagalla abbiamo registrato la consapevolezza che c’è molto da fare. Presto incontreremo tutti gli altri”.
Voi parlate di problemi da risolvere. Ma la Confindustria siciliana, negli anni passati, ha fatto parte dei governi Crocetta e Lombardo. È questo il vostro modello? Quello di un rapporto così stretto con la politica?
“Il nostro modello è sempre lo stesso. Ed è quello che si basa sulla necessità di rappresentare gli interessi delle piccole, medie e grandi imprese. E sulla capacità di elaborare ipotesi e offrire soluzioni alle istituzioni. I governi, i parlamenti, i vari pezzi di società dovrebbero poi partecipare a un confronto, nell’interesse di tutti”.
Insomma, soddisfatti o delusi dalle esperienze di Confindustria nei vecchi governi?
“Credo che il giudizio sui singoli o nei confronti del passato non sia di aiuto a nessuno. La Confindustria ha sempre formato classe dirigente. E non è un caso che molti dei nostri dirigenti attraggano l’interesse anche delle istituzioni. È così e sarà sempre così. I risultati ottenuti dai governi, del resto, sono sempre frutto di un lavoro collettivo, nel bene e nel male”.
Voi però nel documento parlate chiaramente di “fallimento” di uno schema, di un sistema. Ci vuole fare un esempio che renda l’idea di questo flop?
“L’esempio è nei numeri. La Sicilia ha ottenuto dal 1999 qualcosa come 30 miliardi di euro dall’Unione europea. Ma il tasso di occupazione, in oltre 15 anni non è praticamente cambiato. Noi dobbiamo parlare proprio alla gente che è rimasta ai margini nonostante questa mole di denaro che avrebbe dovuto far crescere l’Isola. Altri numeri parlano chiaro. Un confronto tra la Sicilia e la Lombardia dimostra ad esempio che la prima è una società di consumo, la seconda di produzione. Non a caso la quota dei servizi pubblici sul valore aggiunto totale del settore in Sicilia è pari a circa il 30%. In Lombardia solo il 13%. L’industria che in Lombardia tocca quota 22,7%, in Sicilia è appena all’8%. L’effetto di questi numeri è chiaro: i redditi medi delle famiglie in Sicilia arrivano a circa 26 mila euro, in Lombardia a 40 mila. Ecco, noi dobbiamo lavorare per ridurre queste distanze”.
Come si fa a ridurre questo divario? Avete proposto qualche idea da mettere in campo nell’immediato?
“Certamente ci sono alcuni aspetti sui quali si può intervenire subito. Penso ad esempio al fatto che la Sicilia è percepita come una Regione che non rispetta i tempi. Ecco, bisogna fare in modo che entro termini previsti per legge, la pubblica amministrazione dica ‘sì’ o ‘no’. Non chiediamo scorciatoie, ma normalità. Se allo scadere dei termini chi ha il compito di dire sì o no non l’avrà fatto, non può restare lì a fare l’interlocutore dell’imprenditore. In quel caso il funzionario o il dirigente va rimosso dal procedimento e la pratica va affidata al burocrate più alto in grado…”.
Insomma, la burocrazia in qualche caso vi appare come una “nemica”…
“… su questo vorrei essere molto chiaro: è da criminali colpevolizzare chi lavora nelle pubbliche amministrazioni. Lì ho trovato gente di grande professionalità e serietà. Questi rappresentano ‘valore’, sono un pezzo importante del sistema. E a loro siamo grati. Con altrettanta determinazione, però, va detto che chi ‘non fa’ rappresenta un disvalore. E in questo caso credo siano necessarie anche delle sanzioni. Per il resto, in linea generale, credo che le pubbliche amministrazioni siciliane abbiano anche bisogno di nuovi innesti, altamente specializzati, visto che i pensionamenti e il blocco del turn over hanno forse un po’ impoverito le strutture in termini di competenze”.
Ultima domanda. Individui un settore sul quale intervenire subito, quello che rappresenta l’emergenza più viva.
“Anche qui mi vengono in soccorso i numeri: il settore che ha perso più occupati è quello dell’edilizia dove si sono persi 100 mila posti di lavoro. Ecco, si potrebbe partire da lì. Ma c’è tanto, tanto da fare”.