CATANIA. Gli immobili sequestrati in Sicilia sono 9735, di cui 7440 sono stati trasferiti agli enti locali, mentre quelli utilizzati per finalità sociali sono 2544.
Nella provincia di Catania sono 729 di cui 417 sono stati trasferiti agli enti locali. Per la sola città di Catania si tratta di 99 immobili di cui però 58 sono destinati all’ente ma non ancora consegnati per la difficoltà di effettuare i sopralluoghi con i curatori giudiziari.
Già dalla sola lettura dei numeri emerge una delle difficoltà più serie della gestione dei beni sottratti alla mafia, come emerge mostra l’indagine condotta dalla Commissione parlamentare antimafia della Regione Sicilia nella scorsa legislatura.
Sono questi i dati dell’Agenzia dei Beni confiscati e sequestrati relativi al 2022, divulgati nel corso dell’iniziativa “Sono Beni comuni. I beni confiscati alla mafia devono essere restituiti ai cittadini e diventare luoghi di socialità e servizi alle persone”, la tavola rotonda che l’Auser di Catania, insieme ad Auser Sicilia e con il contributo del Centro servizi volontariato etneo (CSVE), ha organizzato nella sede Cgil di via Crociferi.
Ha presieduto i lavori Giorgio Scirpa, presidente di Auser Sicilia. Ma il tema ne racchiude tanti altri, che vanno ben al di là dell’analisi quantitativa.
I lavori hanno preso il via con i saluti del segretario generale della Cgil di Catania, Carmelo De Caudo, che ha ricordato le lotte del sindacato condotte negli anni a fianco dei lavoratori coinvolti nelle vicissitudini delle confische, e la storica battaglia a sostegno dei lavoratori della GeoTrans.
Ma è Nicoletta Gatto, presidente di AUSER Catania, che disegna un identikit completo del pianeta beni confiscati. “Molto spesso si tratta di beni che richiederebbero manutenzioni straordinarie per non parlare di quei beni che, pur soggetti a sequestro, rimangono di fatto nella disponibilità dei vecchi proprietari”. Come è accaduto per un immobile, confiscato nel 2005, assegnato al Comune di Acireale nel 2017, quando il vecchio proprietario non andó mai via, anzi, appose modifiche ampliando l’immobile.
Ma com’è stato possibile tutto ciò?
Il Comune di Catania sin da 2014 si è dotato di un regolamento per l’assegnazione dei beni confiscati a soggetti del terzo settore, ma un solo bando fino ad oggi è andato a buon fine, il Giardino di Scidà. “Forse perché di fatto non tutti i beni assegnati sono nella effettiva disponibilità dell’ente locale o perché si tratta di immobili che richiedono notevoli risorse per la loro ristrutturazione”, aggiunge Gatto.
Per non parlare del bando del 2020 emesso dall’Agenzia che prevedeva l’assegnazione di beni immobili confiscati direttamente ad enti del terzo settore, senza passare per gli enti locali. Una proposta sicuramente innovativa che avrebbe dovuto dimezzare i tempi di assegnazione dei beni per riportarli al loro utilizzo a scopi sociali, con una dotazione di un milione di euro per mille lotti messi a bando in tutta Italia, la maggior parte delle quali si trovava in Sicilia.
Ma dall’indagine della Commissione antimafia ci si accorge di quanto superficiali siano state le indicazioni riguardanti i lotti messi a bando: si trattava di beni in alcuni casi abusivi, in altri occupati dai soggetti cui avrebbero dovuto essere confiscati, altri ancora non entrati in possesso dei coadiutori giudiziari che ne ignoravano l’esistenza.
Questi e molti altri casi risultano molto lontani dallo spirito della legge 109/96
Per AUSER è necessario un censimento capillare di tutti i beni definitivamente entrati nella disponibilità dello Stato, e questo compito non può che essere esaudito dall’Agenzia che, opportunamente dotata di risorse umane e di un fondo economico certo, deve comunicare quanti sono i beni effettivamente in suo possesso, rendendone note le condizioni e la reale possibilità di utilizzo.
Sono necessarie nuove risorse per risanare e ristrutturare questi beni, utilizzando non solo i due milioni di euro previsti dalla legge 150 del 2022, ma anche parte del FUG , oltre che risorse regionali opportunamente finalizzate.
L’Auser propone di istituire presso ciascun comune o meglio distretto socio-sanitario, tavoli di co programmazione e co progettazione con gli attori del terzo settore per monitorare i beni disponibili per poi costruire progetti che diano risposte ai bisogni sociali che emergono da un determinato contesto territoriale.
Il nuovo codice del terzo settore ha introdotto la misura del “social bonus”, ossia un credito d’imposta riconosciuto a chi effettua erogazioni liberali a soggetti del terzo settore, iscritti regolarmente al RUNTS, che presentano progetti di recupero di beni mobili e immobili sequestrati alla criminalità organizzata.
È infine necessario che la Regione si doti di una legge regionale che uniformi per tutti gli enti locali le regole, evitando che ogni comune gestisca i beni in maniera diversa; per l’Auser sarebbe utile uniformare i regolamenti e prevedere risorse aggiuntive finalizzate al recupero e al riuso di questi beni.
La Regione dovrebbe poi essere soggetto attivo nella mappatura dei beni confiscati e in possesso dell’Agenzia, stipulando con questa un accordo che ne consenta la effettiva realizzazione, prevedendo l’esatto stato delle loro condizioni strutturali.
Sono poi intervenuti Dario Gulisano, del Progetto Arbor Catania (“da dove tiriamo fuori i soldi? Dagli stessi soldi sottratti alla mafia. Sarebbe una battaglia etica e morale. Altrimenti vince la mafia che vuole proprio che passi il messaggio che i beni confiscati, una volta passati allo Stato rischiano di fallire”), Rosario Rossi, funzionario esperto in progettazione europea che ha presentato gli interventi sui beni confiscati alla mafia del Patrimonio del Comune di Catania finanziati da fondi comunitari, Matteo Iannitti di Arci e I Siciliani Giovani che ha raccontato l’importante esperienza di gestione del Giardino di Scidà, bene confiscato a Nitto Santapaola ad oggi una delle pochissime esperienze di restituzione dei beni alla società riuscite a Catania. “Dobbiamo comprendere l’unicum siciliano: siamo degli apripista e abbiamo sul nostro territorio quasi il 40% dei beni. – ha detto- Non è facile gestire un patrimonio che è davvero enorme. Esistono solo 204 esempi di buone pratiche in Sicilia di gestione ossia nulla alla luce di ben 17268 beni confiscati. Non possiamo raccontarci solo le belle storie e non si può scaricare sul no profit la gestione del grande patrimonio immobiliare, perché spesso vivono sulla precarietà totale. Altrimenti sabotiamo la legge. Dobbiamo sensibilizzare gli enti pubblici”.
Per Sebastiano Ardita, magistrato: “Occorre che le aziende gestite solo la confisca rimangano nel mercato ma trattino con una burocrazia intelligente. Occorre che lo Stato utilizzi un modello agile di impatto e comprendere che non tutte le aziende possono essere rimesse in opera per come erano”.
Lungo l’intervento di Antonello Cracolici, presidente della Commissione Regionale Antimafia, secondo cui a 27 anni dalla legge 109 sarebbe necessario “fare il punto” e riconoscere tutte quelle difficoltà che l’iter del bene confiscato incontra nel suo cammino. “Difficoltà ad individuare amministratori nella fase del sequestro, anche di tipo professionale, così come è difficile il passaggio all’ agenzia. Per nominare un nuovo amministratore di solito passa un anno e nel frattempo si crea un pericoloso vuoto gestionale. Alcuni beni continuano ad essere occupati da parenti o addirittura gli stessi ai quali i beni sono stati sequestrati. Questo è il sintomo della sconfitta. C’è un corto circuito che non può essere gestito come una partita burocratica qualunque dello Stato. A mio parere sarebbe strategico avere un’autorita politica che assuma una responsabilità di questa partita. Mi sto impegnando a preparare una legge regionale”.
Sono intervenuti anche Alessandro Sciortino per la Lega Coop della Sicilia Orientale, Luciano Ventura, segretario di Confcooperative Sicilia, Agata Palazzolo, segretaria del Sunia di Catania che ha sottolineato l’importanza che parte di questi immobili siano utilizzati a fini abitativi.
Per Alfio Mannino, segretario generale di CGIL Sicilia, per ragionare sui beni confiscati in Sicilia, “non si può ignorare il contesto politico nazionale, che oggi propone appalti liberalizzati a dismisura e che deve fare i conti con l’allarme della Corte dei conti secondo la quale la modalità di reclutamento del personale dedicato al PNRR con formule non stabili ha fatto emergere non poche difficoltà. È alle proposte dell’Auser che bisogna guardare”.
Ivan Pedretti, segretario generale SPI CGIL, auspica un tipo di azione politica che funga da collante tra i territori e le forze sociali. “È un ruolo che potrebbe ricoprire proprio la Cgil che da sempre prova a rimettere insieme le dinamiche sociali nel territorio. Bisogna allargare la fascia della rivendicazione dell’ utilizzo dei beni confiscati e lo si potrebbe fare con le nostre categorie e, come controparte, le imprese”.
I lavori sono stati conclusi da Domenico Pantaleo, presidente di Auser nazionale: “Il tema della legalità è presente nel nostro stesso statuto, così come il sostegno alle persone fragili. L’ esperienza siciliana ci insegna che ciò che abbiamo acquisito dovremmo usarlo per la socialità e la solidarietà. È dunque necessario mettere insieme associazioni e cooperative del terzo settore, rimettere al centro le decisioni dei cittadini sull’utilizzo dei beni sottratti alla mafia e pensare alla questione dei beni confiscati non solo come a un argomento di analisi o di convegno, ma come una vertenza”.