CATANIA – Non si è posto “remore dall’uccidere la propria sorella”. Il gip Santino Mirabella usa parole dure nei confronti di Alessandro Alleruzzo, arrestato venerdì dai carabinieri. Un omicidio che per il giudice “già di per sé smentisce, per giunta in negativo (al peggio pare non esserci mai fine), la fola popolare che la mafia non uccide le donne… Qui – scrive – oltre che ‘donna’, Nunzia era anche “sorella” del suo carnefice, che non ha avuto nessuna esitazione a lasciare orfani i propri nipoti”.
Un uomo del ‘disonore’ dunque Alleruzzo jr che non avrebbe rispettato quel codice – non scritto – di Cosa nostra che vieta di ammazzare donne e bambini. Ma avrebbe anche “tradito” le convinzioni del padre Pippo, che decise di “collaborare con la giustizia” proprio perché “nel 1987 gli ammazzano la moglie Lucia Anastasi”. La donna prendeva un po’ di fresco dalla calura di agosto davanti al portone della sua villetta. Le fucilate l’hanno raggiunta fulminee. È morta sul colpo. Robusta, vestita di nero per la morte di un mese prima di suo figlio Santo. “Le donne non si toccano”, avrebbe mormorato il marito prima di decidere di vuotare il sacco. Un’etica mafiosa che non sarebbe stata rispettata dal figlio Alessandro che ha addirittura ucciso “il sangue del suo sangue”.
Ma non è l’unico. Sono molte le femmine ammazzate dai mafiosi negli anni della mattanza a Catania.
Il 1995 è un anno orribile per le donne dei boss. Il primo settembre di quell’anno lo spietato killer degli Sciuto-Tigna Giuseppe Ferone suona in via De Chirico a San Gregorio fingendosi un poliziotto. Appena aprono la porta di casa, “camisedda” spara e uccide la moglie del capomafia di Cosa nostra etnea Nitto Santapaola. L’omicidio di Carmela Minniti scuote la mafia catanese. Colpito, nel modo più crudele, il cuore del padrino di Catania.
Ed è sempre Giuseppe Ferone, collaboratore di giustizia assettato di vendetta per l’assassinio del padre e del figlio, a inviare un gruppo di fuoco – l’anno dopo – al cimitero di Catania. Le pallottole colpiscono Santa Puglisi, figlia di Antonino Puglisi “a Savasta”. Ha 22 anni. Il suo corpo rimane dentro la cappella dove giace il marito ucciso qualche tempo prima.
Nel 1990 un killer professionista uccide Concetta Di Benedetto, moglie devota del boss Pippo Di Mauro ‘puntina’. Il marito arrivato nella scena del crimine – racconta Davide Banfo su La Repubblica – non avrebbe mostrato alcuna commozione. Solo il mormorio che avrebbe voluto trovarsi al posto della sua sposa. Due anni dopo, sempre nella zona della stazione, quella frase si trasforma in una premonizione. Pippo ‘puntina’ è freddato dai sicari.
E’ il giorno di Santo Stefano del 1995, quando ad Aci Catena, una mitragliata colpisce Giovanni Giusti ‘bafacchia’ e la sua convivete Silvana Correnti mentre sono in auto. Quel delitto sarebbe maturato all’interno del clan Mazzei di cui la vittima faceva parte, come il fratello Carmelo. In alcuni processi è emerso che i ‘carcagnusi’ sospettavano che Giovanni Giusti volesse “pentirsi”. Nemmeno la presenza della sua compagna ha fermato la furia dei killer.
Un anno prima, i vertici del clan ‘a Savasta (di Nino Puglisi), ordinano l’assassinio di Agata Zucchero, 61 anni e della figlia Liliana Caruso di 28, colpevoli di essere suocera e moglie del pentito Riccardo Messina.
Nel 1998 è la giovanissima Annalisa Isaia ad essere uccisa dallo zio (reo confesso) Luciano Trovato del clan Sciuto-Tigna. La sua colpa? Frequentava un ragazzo di un clan contrapposto. Due colpi in testa e il corpo occultato in una fossa in contrada Passo Martino.
Un destino che si incrocia quello di Nunzia Alleruzzo e Annalisa Isaia. Che hanno avuto come parenti spietati criminali. Accecati da un onore mafioso da salvaguardare che ha fatto dimenticare anche l’amore familiare. Gli uomini del disonore.