CATANIA. E’ tornato in libertà ieri mattina il 47enne Gaetano Di Fato, funzionario comunale ripostese, arrestato lunedì scorso in flagranza di reato dai carabinieri della Compagnia di Giarre per estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di un imprenditore edile. Il gip di Catania Marina Rizza, dopo aver convalidato l’arresto, ha disposto la scarcerazione dell’uomo per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza. Pur evidenziando il ruolo di intermediatore del funzionario nella vicenda, per il gip non sarebbe emerso un interesse personale o un profitto per l’indagato. Concessi gli arresti domiciliari invece a Giuseppe D’Agata, 64enne, finito in carcere con le stesse accuse. L’indagato infatti avrebbe offerto la propria protezione, pur su richiesta dello stesso imprenditore convinto che la presenza di D’Agata avrebbe posto fine agli atti intimidatori ai propri danni. Per il giudice per le indagini preliminari mancherebbero, però, elementi sufficienti a ritenere quest’ultimo organico o vicino alla criminalità organizzata. Anche i suoi comportamenti non sarebbero in modo univoco tipici del metodo mafioso.
L’ACCUSA. E’ lo scorso 23 aprile quando i carabinieri della Compagnia di Giarre convocano in Caserma il titolare della ditta edile che si è aggiudicato l’appalto pubblico per gli interventi di ristrutturazione del “Museo del vino – Casallegra” di Riposto. I militari dell’Arma chiedono informazioni sul danneggiamento del sistema di videosorveglianza installato nel cantiere. L’uomo racconta di aver ricevuto quello stesso giorno anche la visita di un uomo, che gli avrebbe suggerito di non ripristinare più la video sorveglianza ma di avvalersi di alcuni amici per il lavoro di “guardiania”. Una settimana dopo il funzionario dell’ufficio tecnico comunale ripostese Gaetano Di Fato avrebbe raccontato all’imprenditore, secondo il racconto di quest’ultimo, di essere stato avvicinato da Giuseppe D’Agata. L’uomo, conosciuto come “Don Pippo”, si sarebbe offerto di svolgere il servizio di “guardiania” in cambio di un corrispettivo in denaro. Il 28 aprile l’imprenditore denuncia ai carabinieri un nuovo atto intimidatorio, il rinvenimento di un cappio lungo la recinzione del cantiere. A quel punto vengono predisposte intercettazioni ambientali. Tra i dialoghi captati c’è quello che testimonia il momento della conoscenza tra l’imprenditore e Don Pippo, presentatogli dall’architetto Di Fato.
“Di Fato G: Don Pippo!! Compare Pippo, le posso parlare un attimo? Può scendere? La ditta che sta facendo questi lavori qua…
D’Agata G: …poi, prende…
Di Fato G: …gliela diamo una mano a questo ragazzo…gli facciamo portare a compimento questo lavoro, Don Pippo?”.
In un primo momento D’Agata rifiuta ogni proposta di denaro, “per rispetto dell’architetto”. Ma qualche giorno dopo il funzionario riferisce all’imprenditore che Don Pippo avrebbe chiesto l’assunzione in cantiere di due operai e la somma, in un primo momento, di 1000 euro una tantum, poi di 350 euro mensili.
Al momento della consegna del denaro, in banconote da 50 euro fotocopiate, i militari dell’Arma procedono all’arresto dei due indagati.
LA DIFESA. Soddisfatti per l’esito dell’udienza di convalida i difensori di fiducia dei due indagati. “Il giudice non ha riconosciuto i gravi indizi di colpevolezza – dichiara il legale Attilio Floresta, difensore di Gaetano Di Fato – Il proseguo delle indagini chiarirà l’estraneità rispetto ai fatti contestati”. L’avvocato Enzo Iofrida annuncia già il ricorso al tribunale del Riesame. “Sono comunque soddisfatto dell’ordinanza emessa dal gip – spiega il legale – perché in ogni caso attenua il quadro indiziario anche nei confronti del mio assistito. Esclude inoltre l’aggravante dell’articolo 7 D.L. 152/1991 e concede gli arresti domiciliari. Ricorrerò al tribunale del Riesame – conclude Enzo Iofrida – in quanto ritengo che anche per Giuseppe D’Agata non vi siano i gravi indizi di colpevolezza”.