RIPOSTO. Sarà sottoposto agli arresti domiciliari il 47enne Gaetano Di Fato, architetto dell’ufficio tecnico comunale di Riposto, arrestato in flagranza di reato dai carabinieri dell’Aliquota Operativa della Compagnia di Giarre, lo scorso 25 maggio, con l’accusa di concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso. Obbligo di dimora nel comune di residenza per il coindagato Giuseppe D’Agata, 67 anni, chiamato da tutti Don Pippo, finito in manette con la stessa accusa. Entrambi, secondo il sostituto procuratore di Catania Fabrizio Aliotta, titolare delle indagini, avrebbero costretto il titolare dell’impresa edile aggiudicataria dell’appalto dei lavori di ristrutturazione del “Museo del vino – Casallegra”, di proprietà del comune marinaro, ad avvalersi della “guardiania” e a pagare per la protezione una somma mensile pari a 350 euro. I due indagati sarebbero stati arrestati dai militari dell’Arma proprio mentre stavano intascando dalle mani dell’imprenditore edile la prima mensilità.
Il Gip di Catania Marina Rizza, però, non aveva ritenuto gravi gli indizi di colpevolezza per Di Fato, rimesso in libertà, e non aveva rinvenuto nemmeno elementi che lasciassero presupporre l’appartenenza ad ambienti criminali di D’Agata, sottoposto per questo agli arresti domiciliari. Ma il Riesame, cui aveva fatto ricorso la procura di Catania, aveva invece ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e l’aggravante del metodo mafioso, annullando l’ordinanza del gip e disponendo gli arresti domiciliari per Gaetano Di Fato e la custodia cautelare in carcere per Giuseppe D’Agata, successivamente sottoposto a obbligo di dimora dal gip.
Oggi i giudici della seconda sezione penale della Corte di Cassazione hanno rigettato i ricorsi presentati da Attilio Floresta e Giovanni Grasso, legali di Di Fato, e da Enzo Iofrida, difensore di fiducia di D’Agata, dichiarandoli inammissibili e rendendo così definitive le precedenti pronunce. “La Corte di Cassazione valuta solo la correttezza del provvedimento impugnato – dichiara Enzo Iofrida – Questo, con tutto il rispetto per una pronuncia che è di legittimità e non di merito, non scalfisce la mia convinzione di assoluta innocenza del mio assistito. Ci saranno due gradi di giudizio per dimostrarlo”.