Un giudizio complessivo sui primi due anni del governo Musumeci lo daremo presto. Ora, invece, ci preme offrire una riflessione sul recente e controverso provvedimento del Consiglio dei ministri – curiosamente contestato dai renziani nostrani di Italia Viva – che “accorda” alla Sicilia di spalmare in dieci anni il disavanzo di 2,2 miliardi di euro, via via accumulatosi, in cambio di riforme da concordare con lo Stato e del controllo della spesa.
Sembra, lo diciamo a bassa voce, un vero e proprio commissariamento in materia di conti pubblici della regione nominalmente più autonoma d’Italia. “Abbiamo trovato – ha affermato il presidente Musumeci con evidente piglio polemico – un indebitamento di circa otto miliardi di euro e un disavanzo di poco più di sette miliardi: una gestione che risale agli anni passati, almeno dal 1994 in poi. Se avessimo dovuto risolvere il problema in tre anni, come chiedeva la Corte dei conti, avremmo dovuto fare dei tagli. Non potevamo farlo perché avremmo colpito le fasce più deboli e da qui la richiesta di spalmatura decennale”.
Ok, perfetto, ma qualcosa non torna lo stesso o, almeno, rischia di trasformarsi nella solita farsa in puro stile sicul-nazional-politichese. Non mi riferisco alle ormai inutili recriminazioni sul passato, che ha visto responsabili del disastro economico-finanziario della Sicilia tutti, da destra a sinistra passando dal centro – a eccezione dei pentastellati mai stati nella stanza dei bottoni – compresi coloro che oggi governano (in molti all’Ars da numerose legislature a vario titolo) e coloro che improvvisamente, dopo avere comodamente occupato le poltrone del potere di ogni ordine e grado, adesso si travestono da improbabili censori – debiti, disavanzi e buchi di portata miliardaria non si creano in una notte – quanto piuttosto alle prossime mosse da parte degli attori presenti sul palcoscenico.
A cominciare dai partiti e dalle loro differenti posizioni nelle istituzioni romane e palermitane. Non è un dettaglio. Cosa voglio dire? Queste benedette riforme di cui si parla tanto con scarsissimi risultati concreti, e da varare pena l’immediata sospensione della spalmatura decennale, non si realizzano tecnicamente con atti amministrativi di Palazzo d’Orleans. Si realizzano attraverso disegni di legge proposti dall’esecutivo regionale e approvati dal Parlamento siciliano – regno dei tempi lunghi, del proliferare di nuovi gruppi, dei cambia casacca di professione e delle imboscate a colpi di voto segreto – nel quale, guarda un po’ la combinazione, i salvatori della patria, PD e M5S, cioè quelli che hanno concesso la dilazione decennale, sono sulla carta minoranza.
Sarò più chiaro. Non vorrei che ci trovassimo da qui a breve dinanzi a un classico copione pirandelliano: io maggioranza a Roma non ti strozzo finanziariamente se mi fai le riforme salvo poi, però, mettermi di traverso a Palermo dove sono opposizione approfittando dei numeri risicati e altalenanti di cui dispone Musumeci; così tenendo la Sicilia sotto scacco all’infinito. In altri termini, come conciliare il patto di risanamento stipulato con le dinamiche parlamentari, fisiologiche o strumentali che siano, di Sala d’Ercole? La risposta, lo confesso, mi appare oscura. Pessimista? Diciamo attento ai giochi di bassa cucina che, ce lo suggerisce l’esperienza, potrebbero profilarsi sulla pelle dei siciliani. Del resto, abbiamo visto di tutto al di qua dello Stretto. Attendiamo di essere smentiti.